Recensione: Neverland

Di Roberto Gelmi - 25 Settembre 2017 - 10:00
Neverland
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2017
Nazione:
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80

Se state cercando una nuova band che prone un buon melodic metal non privo del giusto mordente, vi consigliamo caldamente gli svizzeri Gods of Silence. Prima noti con il nome di Kirk, il combo è attivo dagli anni Novanta, ma ha pubblicato il primo studio album nel 2003, riscuotendo buoni successi di critica e tour con Doro, Pink Cream 69, Axxis e Shakra. Dopo la defezione del batterista Vito Cecere per motivi di salute, i Kirk hanno preso una lunga pausa creativa, preferendo suonare in progetti paralleli a nome Godiva, Dr. Crankenstein, In Your Face e Decent Desaster. Nel 2009 sono tornati uniti con Philipp Eichenberger (dei Legenda Aurea) alle pelli e un nuovo moniker. Con la preziosa supervisione del produttore Dennis Ward hanno dato alle stampe il nuovo platter Masquerade, che propone un sound più aggressivo del precedente.

Con Neverland siamo di fronte ad un album migliore die precedenti, che consacra i redivivi Gods Of Silence a band dal grande potenziale. Dopo un intro canonico, “Army of Liars” attacca potente, heavy e impreziosita da inserti di clavicembalo che ricordano i Royal Hunt (una delle band cui sono accostabili i nostri). La voce di Gilberto Meléndez (equidistante da Jorn Lande e Russel Allen) è graffiante e di carattere, si ascolta con piacere ogni strofa.  Un ottimo inizio d’album, si prospetta un disco appagante, ma “Against the wall” mette freno ai primi entusiasmi, si poteva collocare un simile brano (meno tirato) in fondo alla scaletta, ma fortunatamente segue la title-track, una killer song tra le migliori del lotto, che si muove tra lidi sornioni e un refrain power fin nel midollo. Ottima la presenza delle tastiere e il drumwork, “Neverland” che non sfigurerebbe in un album degli Helloween. “Full Moon” ha un tiro melodico invidiabile e arrangiamenti curati, tra heavy e power; gli assoli delal 6-corde sono nuovamente sostanziosi anche se ricalcano la tradizione, mentre le linee vocali restano su registri alti e inscalfibili. L’avvio di “Phoenix” (titolo sempre inflazionato, basti considerare l’atteso ritorno dei Nocturnal Rites) è pesante e gustoso, una manna per i metallari di ogni età. Vengono in mente gruppi come Primal Fear e, perché no?, gli Adrenaline Mob nei loro attimi migliori. Pesudo-ballad, “Demons” resta subito in mente per il refrain baritonale (ascoltare per credere), ci tuffiamo negli Eighties, invece, con “Wonderful Years”, dove le tastiere imperano (e fanno capolino gli Europe). Senza perdere un colpo l’album va a concludersi con un trittico di pezzi niente male, che non aggiungono nulla a quanto già proposto nei primi trenta minuti.

Neverland potrebbe apparire ai puristi un album posticcio, un ready made stereotipato per cavalcare una nuova ondata di metal vintage. In realtà siamo di fronte a musicisti di livello e non manca l’ispirazione nelle undici composizioni che vanno a comporre il platter. Un ottimo disco tra power, heavy e metal melodico, lontano da pretese commerciali, ben prodotto e dalla discreta longevità d’ascolto. Consigliati.

 

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

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