Recensione: New Audio Machine
Tra la moltitudine di buone band fuoriuscite dal movimento hair metal di fine anni ottanta, erano davvero tante le realtà di talento e buona caratura. Artisti forniti di un’attitudine spensierata e mai troppo seriosa, tuttavia capaci di comporre ottima musica e di offrire al pubblico – anche se per un breve, fuggevole momento – qualcosa da ricordare, nella forma di qualche canzone che, insieme a tante altre, avrebbe contribuito ad alimentare l’immaginario di un’epoca irripetibile per atmosfere, vitalità e diffusione mediatica.
In quella massa di ottime formazioni, composta da alcuni esponenti di alto profilo e da una corposa pletora di nomi meno rinomati ma non per questo meno validi, spiccavano anche i Trixter, esuberante gruppo fondato nel 1984 a Paramus, nel glorioso New Jersey, per mano del singer Peter Loran e del chitarrista Steve Brown. Una carriera breve ed intensa la loro, culminata nel 1990, dopo qualche anno di rodaggio, con la pubblicazione di un primo, omonimo album, infarcito di hit accattivanti e riuscite tanto da sfondare su MTV (memorabile il singolo “One In A Million”) e garantire al quartetto parecchie apparizioni live al fianco di autentiche leggende del periodo, quali Dokken, Warrant, Poison, Kiss e Stryper.
Poi, come spesso accaduto per tanti, il cambio di rotta dovuto ad un repentino mutamento negli interessi del pubblico e la squassante ondata di minimalismo proveniente da Seattle, si rivelarono determinanti nel condurre la band di Loran e Brown verso un prematuro declino, suggellato da un secondo capitolo, “Hear” (1992), discreto ma di qualità effettivamente inferiore rispetto all’esordio e da un’inutile e superflua raccolta di cover edita nel 1994, ultima testimonianza discografica di un gruppo talentuoso ed un po’ sfortunato.
A completare uno scenario di caduta e rinascita già visto un numero imprecisato di volte in questi ultimi tempi, ecco infine l’improvviso e per certi versi inatteso come back, prodotto di uno scenario musicale parecchio differenziato in cui, di certo, le chance per un gruppo hard rock non sono più quelle di un tempo. Ma nemmeno, la diffidenza quasi irridente del pubblico verso un genere all’epoca parificato al pop da classifica, è tale da minarne sul nascere ogni minima possibilità artistica.
Come rianimati da un imprevisto ritorno di fiamma, quasi a voler cancellare un ventennio di musica “diversa” da quella a cui il retaggio “hair” era legato, ecco quindi un nuovo disco composto da materiale inedito che, una volta tanto, ha però qualcosa di singolare al suo interno e pare animato da uno spirito autentico di passione per i suoni di un’epoca ormai remota.
Ascoltando “New Audio Machine”, album dei Trixter targato 2012, la sensazione, infatti, è quella del tempo sospeso. Ma non esattamente la percezione che potrebbe derivare da un ipotetico salto all’indietro. Piuttosto, l’idea di un disco che, per magia, sembra essere stato concepito proprio in quegli anni, quasi come se gli ultimi quattro lustri non fossero mai trascorsi.
O quasi come se i Trixter volessero dire agli ascoltatori: “se ci avessero lasciati continuare sulla nostra strada, noi avremmo realizzato qualcosa così”.
Il risultato è limpido: puro, scanzonato e divertente hair metal che pare uscire da una session del 1988. Canzoni lineari, prive di qualsiasi afflato modernista che allineano il rock stradaiolo americano con grandi cori da stadio. Ma soprattutto, una miscela stilistica che offre alle chitarre un ruolo di primissimo piano ed assembla magicamente Blue Murder, Giant, Danger Danger, Firehouse e Poison, regalando agli estimatori del genere davvero molti motivi di soddisfazione: nel suo voler essere prodotto di nicchia, il nuovo disco dei Trixter centra un piccolo primato senza dubbio non alla portata di tutti. Nemmeno un brano poco riuscito o meno che piacevole.
L’apertura, affidata al ruspante attacco country di “Drag Me Down”, tanto ricorda nel giro di chitarra acustica la mastodontica “Billy” dei Blue Murder. Miglior biglietto da visita non potrebbe esserci per un album che procede poi sulle ali dell’entusiasmo, inanellando nelle battute iniziali, quattro brani all’insegna dell’energia di un hard rock cromato e “ricco”, sostenuto da grandi parti corali e strutture orecchiabili. “Get It On”, “Dirty Love” e “Machine” sono pezzi esuberanti e carichi di vitalità, modellati attorno ai riff di Steve Brown che paiono “scippati” a George Lynch, Dan Huff e Nuno Bettencourt e cantati a piena voce da un Peter Loran in forma strepitosa, spettacolarmente attestato su di una resa che molto ricorda il miglior Paul Laine.
Unici accenni alla contemporaneità, sono rilevabili nella semi-ballad “Live For The Day”, morbida e gradevole melodia dal ritornello molto “radio friendly” a cui si sostituisce ben presto la scintillante esuberanza di “Ride”, una delle top track del cd. Il brano farà gongolare i fan dei Danger Daner dei primi due album, formando insieme alla successiva “Tattoos e Misery” – primo singolo del cd – ed a “The Coolest Thing”, un trio di episodi da scolpire nella mente in attesa della prossima estate in arrivo –speriamo – al più presto.
Tracce di Extreme invece nella cadenzata “Physical Attraction”, episodio dotato ancora una volta di eccellente rifferama ed ottimi cori, e riferimenti ai Gotthard del galattico “G” in “Save Your Soul”, canzone che un po’ ricorda la granitica “Fist In Your Face” degli svizzeri, salvo poi evolversi in un arioso refrain di chiaro stampo hair metal.
La conclusione è infine riservata a “Walk With Stranger”, traccia che funge un po’ da sunto di quanto detto sinora. Danger Danger a più non posso, con la piena e gioiosa vivacità di chitarre che omaggiano il scintillante hard rock degli anni ottanta, allineando in una veloce rassegna le maggiori influenze ascrivibili a quel magico periodo.
Un come back per i Trixter che, per una volta, possiamo salutare con una frase banale ma davvero convinta: “ne valeva la pena”.
In un mese in cui il rischio di rimanere stritolati tra le uscite di compagni d’etichetta dai nomi molto più noti ed osannati era evidente, “New Audio Machine” esce a sorpresa vincitore, rivelandosi disco dalla qualità omogenea e dal potenziale d’ascolto assolutamente di primo livello, capace oltretutto, di lenire almeno in parte l’inopinato passo falso dei label mates Crazy Lixx.
I fan del simpatico, colorato e divertente Hair Metal, ringraziano. Quelli, in particolare, dei Danger Danger, ancor di più…
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Tracklist:
01. Drag Me down
02. Get It On
03. Dirty Love
04. Machine
05. Live For The Day
06. Ride
07. Physical Attraction
08. Tattoos & Misery
09. The Coolest Thing
10. Save Your Soul
11. Walk With Strangers
Line Up:
Peter Loran – Voce / Chitarra
Steve Brown – Chitarra / Armonica / Cori
P.J. Farley – Basso / Cori
Mark “Gus” Scott – Batteria / Cori