Recensione: New Hell
CERTE RECENSIONI A VOLTE SONO LA METAFORA DELLA VITA
Spesso e a volte nella vita, pur non essendo soldati di professione, possono capitare imprese ardue e difficili: è una cosa umana il considerare la vita stessa come qualcosa di arduo, il vita non è certo un compito facile.
Ma il punto non è questo.
Il senso di difficoltà può essere molteplice a seconda dell’azione da compiere: giudicare “New Hell”, ultima fatica in studio dei thrashers danesi Hatesphere, personalmente rientra tra alcune delle cose più difficili da effettuare, a livello di passione prettamente musicale, una delle più ardue che mi siano capitate negli ultimi tempi.
Io ho sempre stimato la band danese, apprezzato perfino la gioiosità di una ritrovata stabilità nella formazione, ho pogato come un ossesso ai tempi dell’uscita di “Ballet of the Brute” (era il 2003 e dintorni, se non erro), quando ero poco più che diciottenne brufoloso con tanta voglia di fare e sentire casino, con relative preoccupazioni dei miei nel vedermi sempre così furioso e con il ghigno rabbioso sotto una folta schiera di capelli (che ora se ne stanno andando via, come si usa dire ‘ i segni del tempo’).
Ma oggi è il 2016, pochi mesi fa è uscito “New Hell”, ultima fatica discografica di questi folli danesi che tanto mi fecero pogare ai tempi della mia prima post-adolescenza, ma francamente non posso fare a meno di notare che qualcosa non funziona più come allora.
LA DIGNITA’ DEL NUOVO INFERNO
Certo è che il nuovo disco si muove su binari dignitosi, certamente, ma è anche vero che al cospetto di simili cadute di smalto non so se sia giusto giudicare questo disco per quello che è oppure confrontarlo con quanto rilasciato in passato dalla formazione danese: nel primo caso avremmo un disco sicuramente di buona fattura, con qualche luce ma anche con numerose ombre, mentre nel secondo caso avremmo un confronto non dico impietoso perché sarebbe troppo (il disco vive di buoni momenti come già detto), ma sicuramente confusionario.
‘Confusionario’ è sicuramente il termine che più si addice alla situazione, perché i binari death/thrash della formazione sono sempre quelli, collaudati come sempre….ma allora cosa non funziona?
E’ difficile capirlo persino per me, ma sebbene mi sia imbattuto con discreto entusiasmo nei confronti di questa fatica devo dire che, sebbene rimango abbastanza soddisfatto del risultato finale, manca qualcosa: le composizioni spesso annegano in un mare di rabbia che è sì tanta, ma anche inespressiva, perché rimane su disco, non esplode davvero passando dalle note al cervello come succedeva in passato.
Colpa dei brani? Della produzione? Andiamo a passi, è difficile.
PREGI E DIFETTI DI UN NUOVO CORSO INFERNALE
I singoli episodi ingannano positivamente ad un primo ascolto, ma al secondo tentativo invece che crescere decadono: lo stile Hatesphere è ormai riconoscibile e lo è anche in questo platter, però forse certe soluzioni e melodie tipiche appunto del loro marchio vengon qui abusate a tal punto che viene spontaneo domandarsi se le idee effettive ci siano ancora o se siamo al cospetto di una furbissima e piuttosto riuscita operazione di riciclaggio di sé stessi.
Perché si batte troppo spesso sullo stesso chiodo, sulla formula consolidata dell’accelerata assassina alternata a momenti di lentissimi e soffocanti rallentamenti nell’andamento di marcia, momenti dove guarda caso sfocia quasi sempre il tipico assoletto di chitarra mezzo melodico e mezzo ‘slayeriano’.
Troppe soluzioni si ripetono quasi sempre con le stesse dinamiche, mentre nei momenti più ‘monodinamici’ e ‘tutti di un pezzo’ come la violenza iniziale della monocolore “The Executioner” oppure la lentezza a senso unico di “The Longest Haul”, si finisce spesso per ottenere risultati dal buono (nel caso della opening track) al noioso (la seconda traccia citata).
Spesso in alcuni brani (“Lines Crossed Lives Lost”) aldilà del ‘buono’ di fondo non si capisce dove si voglia andare a parare, dato che già al quarto/quinto ascolto al contrario del disco precedente, personalmente parlando, ho ritrovato ben poco interesse ad approfondire le tracce di questo nono lavoro discografico di questi simpatici misantropi danesi: sembra come se ci sia poca carne al fuoco annebbiata in un mare di carbone, oppure semplicemente che quella carne non sia stata cotta nel modo giusto….e forse è solo un problema di marinatura della carne?
In ogni caso la produzione è molto potente, nel pieno stile del carrozzone del Thrash moderno, ma nonostante tutto si addice perfettamente ai Nostri: chitarre spesse come muri, basso con medie scavate posto molto in basso (non è un gioco di parole, sorry) nel mix, prestazione vocale sempre di impatto, così come la prestazione del batterista.
TANTO BEL RUMORE, PERO’….
Il ‘suono’ c’è, la prestazione anche, ciò che manca in abbondanza tra questi solchi infernali è la presenza di idee realmente vincenti: ogni pezzo abbonda di buoni riff che sicuramente basteranno a rendere sufficientemente appetibile questo lavoro ai più sfegatati ‘Thrash Maniac’ e amanti della violenza sonora, ma credo che chiunque, dopo un breve periodo di ascolto, difficilmente poi tirerà nuovamente questo “New Hell” giù dallo scaffale per riascoltarlo.
Forse sarò troppo cattivo, forse mi aspettavo qualcosa di più, ma resta il fatto che la band qui dà il meglio negli episodi più moderni ed innovativi come le variazioni meno ‘meccaniche’ e più sentite di “Head on a Spike”, brano dall’appeal pesantemente modernista che a tratti trasuda davvero odio da ogni poro grazie a soluzioni finalmente convincenti anche sulla lunga distanza (anzi è il brano più efficace del disco da questo punto di vista, per me) in grado di ficcarsi prepotentemente nella testa, oppure i momenti più tirati della title-track (con tanto di brano introduttivo) con quel suo ritornello dal tono hardcore dal piglio quasi catchy….anche “Master of Betrayal” si rivela un ottimo brano con un rallentamento centrale emozionante ed insolitamente malinconico, mentre il resto del brano viaggia su binari dal buon coinvolgento.
Interessanti sono anche le prime battute della conclusiva “The Grey Mass”, decisamente inusuali con tanto di growl ribassato del singer, per poi evolversi nel ‘tipico battichiodo ‘ Hatesphere fino alla fine sia del brano che dell’album tutto.
Il resto viaggia su momenti di pura ma riuscita amministrazione New Thrash, risultando al contempo sia buono che noioso….strano sia a dirsi che a sentirsi, me ne rendo conto, ma la mancanza di profondità di certe soluzioni non convince sulla media distanza di ascolto, dando l’effetto di un album ‘usa e getta’ per certi versi.
VERDETTO FINALE
Quindi cosa dire di questo ultimo tassello dei misantropi danesi?
Che se di “Nuovo Inferno” si tratta, forse il “Vecchio Inferno” Hatesphere era un pochino più divertente, meno monotono e soprattutto meno prevedibile viaggiando lungo le sue enormi distese fiammeggianti.
Per chi scrive, siamo al cospetto di un buon disco di mestiere, che alterna rare perle e buoni momenti in mezzo a tanto materiale di siffatta esperienza: francamente mi aspettavo molto di più….ma la mia, fate conto, è solo un’opinione personale, sta a voi decidere se fidarvi o meno.
Le band suonano, investono denaro, hanno bisogno del nostro supporto ed in ogni recensione vi parlo soprattutto da musicista, quindi mi spiace quando devo per forza di cose andare un pochino in basso nella valutazione, ma bisogna innanzitutto essere onesti con il proprio io e di conseguenza con il pubblico, anche se quest’ultimo non sarà per forza di cose d’accordo con quello che esprimiamo.
Ve l’avevo detto, in apertura, che per me si è trattato di un giudizio difficile….