Recensione: New Horizons
2 aprile 1981. Gli allora promettenti Iron Maiden sono impegnati con il loro Killers Tour. Quella sera di inizio aprile sono di scena a Gorizia, una piccola città del nordest d’Italia praticamente schiacciata sul confine con la Jugoslavia. Durante il giorno sono già in città, e decidono di fare una capatina nel vicino paese balcanico che si trova veramente a pochi passi da loro. Giusto il tempo di una birra e quattro passi fumando una sigaretta. I Maiden però, sanno bene che quel confine non divide solo due stati, ma anche due mondi. Una linea che taglia a metà l’Europa e porta un nome simile al loro. La famosa Cortina di Ferro. Durante questa breve escursione, qualcuno di loro tira fuori un pennello e lascia una scritta su un cippo confinario. Una piccola testimonianza di quella toccata e fuga nel blocco est della guerra fredda. 02/04/81 The Iron Maiden has crossed the Iron Curtain. Gli Iron Maiden hanno attraversato la Cortina di Ferro. La musica che supera le tensioni geopolitiche dell’epoca.
Ora, dopo quarant’anni quel confine si trova in Slovenia, lo stato nato dalla dissoluzione dell’ ex-Yugoslavia. E quella scritta non si sa che fine abbia fatto. Qualcuno dice ci sia ancora, qualcun altro no. Quel che è certo è che la musica metal è tornata ad attraversare quella soglia diverse volte, diventando praticamente di casa da quelle parti. Basti pensare alle edizioni del vecchio MetalCamp, o l’attuale Tolminator. Persino gli stessi Maiden che hanno iniziato il loro recente The Future Past Tour proprio dalla Slovenia. La stessa nazione da dove arriva la band che tratteremo oggi.
Gli SkyEye, di Ljubljana. Formazione già attiva dal 2014 e dedita ad un metal di stampo tradizionale sulle orme di Iron Maiden, Dio, Judas Priest e Rainbow. Il debutto avviene nel 2017 con l’EP Run For Your Life seguito dall’album Digital God l’anno successivo. Ma è nel 2021, con Soldiers of Light, che la loro notorietà comincia ad uscire dai confini sloveni per iniziare ad espandersi in giro per l’Europa riscontrando pareri positivi un po’ ovunque. Arriviamo ai giorni nostri, con gli SkyEye che giungono alla fatidica prova del terzo album realizzando il nuovo New Horizons. Ed infatti, l’obiettivo che la formazione di Ljubljana si prefigge, pare essere proprio la conquista di nuovi orizzonti. Questo nuovo capitolo vede un cambio nella line up, con un membro fondatore, il chitarrista Grega Stalowsky, che lascia per venir sostituito da Urban Železnik. Prima di congedarsi dai compagni, Stalowsky ha comunque dato il suo contributo al nuovo disco firmando tre degli undici pezzi qui presenti. Invariato invece il resto della band, costituito da Jan Leščanec (voce), Marko Kavcnik (chitarra), Primoz Lovsin (basso) e Jurij Nograsek (batteria).
Il viaggio verso i nuovi orizzonti inizia a pieni giri con l’adrenalina di The Descenders. Segue a ruota Fight!, un titolo che pare una dichiarazione di intenti sulle note di un brano fiero e glorioso in stile Manowar. Far Beyond mischia hard rock e metal tradizionale. Un intro dai sapori orientali apre le danze di Saraswati, una traccia tesa dalle atmosfere cupe. Da copione New Horizons e Railroad Of Dreams, che ricalcano alla perfezione i tipici stilemi del metallo più tradizionale,
Dopo un’inizio scoppiettante, dobbiamo dire che una manciata di brani nella parte centrale ci sono sembrati un po’ troppo ordinari. Non brutti, ma senza particolare inventiva
Come se la band avesse inserito il pilota automatico per arrivare alla fine del disco. Il rischio è di ritrovarsi fra le mani un prodotto anche ben suonato, ma sostanzialmente anonimo.
Fortunatamente con The Voice From The Silver Mountain i Skyeye riprendono quota offrendoci un heavy epico dalle sfumature doom. Il titolo non può fare a meno di richiamare alla mente la Man Of The Silver Mountain che fu dei Rainbow. Tutto questo non pare essere un caso visto che il testo sembra un chiaro tributo a Ronnie James Dio. Anche la prova del cantante Jan Leščanec tradisce una certa ispirazione all’elfo di Portsmouth.
Procedendo con l’ascolto ci imbattiamo nella piacevole Forgotten Nation, con un ritornello semplice ma efficace. Arriva la volta di Nightfall un pezzo dal ritmo galoppante ed un chorus anthemico. The Emerald River è un intermezzo sinfonico che fa da intro a 1917, una lunga suite di nove minuti. Una melodia iniziale che pare una marcetta trionfale, scandisce le prime battute della traccia: dopo un minuto il pezzo esplode in tutta la sua energia. Una carica di riff pulsanti che dipingono scenari di campi di battaglia, si prendono la scena. Le scorribande delle chitarre di Kavcnik e Železnik fanno da fuoco di copertura alla voce di Leščanec, impegnata a destreggiarsi tra strofe furiose e parti più evocative. Il tutto si esaurisce sul finale dominato da tristi note di pianoforte dove trova spazio anche una parte narrata in lingua slovena. Il titolo 1917, lascia intuire che, nel pezzo appena ascoltato, si affronti l’argomento della prima guerra mondiale. Una conferma può arrivare anche dal passaggio che recita I wash my sins in Soča river. Soča è il nome sloveno del fiume Isonzo, che fu teatro di aspre battaglie durante la Grande Guerra. Quasi a voler raffigurare le gelide acque del suddetto fiume che lavano le anime dei soldati caduti combattendo lungo le sue sponde.
La prova del terzo album si può dire superata per gli SkyEye. Sinceramente l’abbiamo trovato una spanna sotto al precedente Soldiers of Light, ma siamo nell’ambito dei semplici pareri personali.
Resta comunque un lavoro genuino e spontaneo. Non impeccabile, ma di certo le buone idee non mancano.
Sicuramente la band ha tutte le carte in regola per fare conoscere il suo nome in giro per l’Europa e magari oltre.
La stessa band Slovena, in riferimento al titolo di quest’ultimo disco, cita la famosa frase di Jack Sparrow “Portami quell’orizzonte!“. Ora sta a loro andare a prenderlo veramente.
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