Recensione: Nic Co Boskie Nie Jest Mi Obce
I Genius Ultor si erano già fatti notare, ovviamente in ambito ultra-underground, in occasione del debut-album “Dzień Nocy”, feroce condensato di raw black metal che non lasciava scampo a chi, dal black stesso, pretendeva scalate progressiste.
Da allora sono passati quattro anni e il micidiale trio non ha modificato di un millimetro l’alzo della propria artiglieria, realizzando un altro manifesto del genere con il neonato “Nic Co Boskie Nie Jest Mi Obce” (trad.: “non considero divino nulla che sia estraneo”). Sputando in faccia all’Umanità e ai suoi idoli e manifestando ancora una volta la propria blasfemia, arroganza e disprezzo per l’ignoranza.
Rispetto a Dzień Nocy” si percepisce immediatamente, e a pelle, il netto miglioramento del sound in generale. Intendendo, per ciò, il raggiungimento dell’ideale coesione tecnico-artistica fra i tre musicisti. I quali (Tomasz Zięba, Ataman Tolovy e Dominik Augustyn), giova ricordarlo, percorrono una strada parallela, nel metal estremo, con gli Stillborn (“Los Asesinos Del Sur”, 2011), con tutte le difficoltà del caso nel trasferire il modus operandi da una band all’altra. Ebbene, pare proprio che tali avversità siano state superate, giacché “Nic Co Boskie Nie Jest Mi Obce” presenta in sé tutte le necessarie caratteristiche di compattezza stilistica tali da rendere la formazione di Mielec un’entità dotata di una propria, autonoma personalità.
Un carattere assai forte, occorre dire, poiché il lato meramente misantropico del black metal è una componente fondamentale non solo delle tematiche affrontate da Wirus & Co., quanto – anche – della musica. Aspra, arcigna, dura. Impietosa, cupa, dissonante. Lontana anni-luce da qualsiasi abbellimento, lustrino, accenno di melodia. Riff su riff senza alcuna soluzione di continuità, sostenuti dal bombardamento a tappeto del basso e dal veemente drumming, semplice e diretto, che non si tira certamente indietro dal varcare il limite schizofrenico dei blast-beats, spesso e volentieri (“Zwycięstwo”, “Kataryniarz”). Su tutto, si erge imperiosa l’ugola rovente dello stesso Wirus, mai doma nell’urlare a squarciagola le strofe delle varie song, passando dallo screaming più folle alla rabbia delle vocalizzazioni in auge nel metallo oltranzista di fine anni ’80, inizio anni ’90.
La voluta, scarna elaborazione delle pur buone idee in capo ai Nostri, tuttavia, si può raffigurare come un antitetico binomio del tipo ‘croce e delizia’. ‘Delizia’, poiché è davvero difficile trovare qualcosa di simile, in giro – e su questi livelli qualitativi – , che dia così bene la sensazione di quale possa essere la brutale aggressività insita nell’animo umano. Un’aggressività primordiale, diretta, senza filtri. Tale da rendere perlomeno plausibile il significato celato dietro al titolo del platter. ‘Croce’, perché alla lunga la mancanza di relativo spessore della foggia musicale porta a un po’ di ripetitività. Perlomeno a livello di singola composizione, ciascuna di complicata assimilazione per via della mancanza di segni caratteristici, di particolarità che possano fare la differenza fra una e l’altra.
Per questo, alla fine, “Nic Co Boskie Nie Jest Mi Obce”, seppur formalmente ineccepibile, non incarna l’auspicabile ‘passo in avanti’ che una band deve compiere per migliorarsi da quanto già mostrato in sede di debutto. Affinché, per l’appunto, la sua carriera possa salire su una scala invece che avanzare in orizzontale.
Peccato.
Daniele “dani66” D’Adamo