Recensione: Night Is The New Day

Di Luca Trifilio - 9 Novembre 2009 - 0:00
Night Is The New Day
Band: Katatonia
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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78

Il percorso dei Katatonia è noto a chiunque li segua, ragion per cui si eviterà una disamina della loro storia musicale e delle loro evoluzioni nel corso di una carriera che dura ormai da 15 anni. L’unico elemento da tenere in considerazione, per dare modo a chi sia a digiuno completo di informazioni riguardanti la band, è la svolta avvenuta nel 1998, ovvero quando, dopo due dischi e due EP inquadrabili nel filone del death/doom, diedero alle stampe quel Discouraged Ones che rappresenta in tutto e per tutto un passo fondamentale nel loro sviluppo. Abbandonato il growl degli esordi, anche a causa dei problemi di Jonas Renkse, i Katatonia si presentarono al pubblico con un lavoro che tra composizioni più snelle, dalla durata media di 4 minuti o poco più, utilizzo esclusivo di clean vocals e mood prossimo a certo gothic metal, sconvolse definitivamente il loro percorso artistico. In seguito, di album in album, c’è stato un costante lavoro di cesellatura che li ha portati ad introdurre nel calderone del loro songwriting molteplici influenze, di cui si parlerà nel corso della recensione.

Night Is The New Day giunge sul mercato discografico a 3 anni di distanza dal fortunato ed ottimamente accolto The Great Cold Distance, album che ha ulteriormente sdoganato la musica dei Katatonia, ormai adatta ad un bacino d’utenza piuttosto vasto. Attenzione però, perchè questo non va confuso con una commercializzazione o una ridotta qualità della musica, e va messo in chiaro sin da subito che il nuovo album, proprio a voler smentire eventuali pregiudizi, brilla per la cura del dettaglio, del singolo suono, dell’arrangiamento. La versione recensita è quella speciale svedese, contenente una bonus track.

Forsaker, pezzo messo a disposizione per il download gratuito oltre un mese prima dell’uscita del disco, apre le danze, mettendo in mostra alcuni degli elementi cardine di Night Is The New Day: chitarre che si dipanano tra distorsioni pesanti, le più corpose e potenti mai sentite nei Katatonia, arpeggi malinconici ma non troppo, che talvolta rimandano ad influenze alternative/post-rock, e suoni liquidi e dilatati a sottolineare le parti maggiormente atmosferiche. L’opener possiede tutti i punti di forza dei Katatonia odierni, rubacchia qualche idea e soluzione ritmica ai Tool ma brilla di luce propria per una parte strumentale finale capace di rapire l’ascoltatore. Tuttavia, non è il brano più indicativo di ciò che gli svedesi sono ad oggi, o meglio, ne rappresenta soltanto una sfaccettatura, e già dalla seguente The Longest Year ci si rende conto che il registro stilistico è virato verso un maggiore intimismo, con la voce di Renkse, a volte un tantino statica nel suo incedere lamentosamente malinconico, spesso in primo piano, ad esprimere stati d’animo tetri e decadenti sottolineati da tappeti musicali tenui, delicati e mai così raffinati, anche in virtù di una produzione qualitativamente ottima capace di mettere in risalto i dettagli di cui si parlava in precedenza. Non può non citarsi anche qualche fuga di stampo prog, che si può avvertire ad esempio nella parte finale di Liberation, incentivata e sottolineata anche dall’uso del mellotron che fa capolino nelle varie Onward Into Battle e Inheritance, oltre che nella atmosferica The Promise Of Deceit, canzone che si esalta nel break centrale.

Le influenze dichiarate sono molteplici: si va dai Fields Of Nephilim, omaggiati nella doomish Nephilim, ai The Cure, dai Red House Painters a David Sylvian, senza dimenticare gli amici Opeth, di cui si sentono echi fin troppo evidenti in Idle Blood, che rimanda alle composizioni di Åkerfeldt del periodo di Damnation per produzione, suoni e parti vocali, ed in Inheritance, le cui parti strumentali ricordano da vicino certe parti decadenti e malinconiche presenti nei brani di Ghost Reveries o di Watershed. Le tracce più dinamiche dell’album, oltre all’opener, risultano essere Liberation, il cui riff stranamente allegro e fischiettabile posto in apertura dà spazio a note positive, il singolo Day & Then The Shade, brano che ribadisce come i Katatonia siano influenza per una miriade di gruppi contemporanei (tanto per restare in Italia, basti pensare, con le debite differenze, a Novembre e Klimt 1918) e la bonus track Ashen, pezzo che avrebbe meritato la pubblicazione nell’edizione “regolare” del disco. Ed il resto? Il resto dell’album è spesso lento e, come si diceva poc’anzi, caratterizzato da tappeti di suoni delicati, ragion per cui i primi ascolti possono portare a considerare il disco, nella sua interezza, piuttosto noioso e pesante da digerire.

Ed invece, le qualità di Night Is The New Day vengono fuori lentamente, con pazienza, ad esaltare un lavoro di cesello che gli svedesi hanno saputo portare a compimento elevando le loro abilità di songwriting e giungendo a compiere un ulteriore passo in avanti nel loro straordinario percorso evolutivo. L’album da tenere come riferimento per valutare il nuovo lavoro della band è senza dubbio alcuno il precedente The Great Cold Distance, rivisto e riletto in chiave maggiormente intimista e sognante. In tal senso, inevitabile sottolineare come i Katatonia siano in grado di estrarre dal cilindro delle linee vocali e dei giri melodici capaci di creare atmosfere rarefatte ed oniriche e di emozionare l’ascoltatore. E’ il caso di New Night, brano che parte in sordina ma che cresce in maniera sensibile ascolto dopo ascolto rivelando la propria anima decadente e sognante, e della conclusiva Departer, una traccia destrutturata, quasi ambient, nella quale la doppia voce e successivamente la parte solista del guest vocalist Krister Linder regalano più di un brivido, culminando in quello che è considerabile l’apice emotivo dell’intero disco.

Le note positive del disco, evidenziate in particolare nel precedente paragrafo, vengono in parte offuscate da qualche brano che non riesce a cogliere nel segno, che si perde un po’ involvendo su sé stesso, risultando quindi ancora più fuori luogo se paragonato alle perle che questo nuovo disco dei Katatonia porta con sé. A questo si aggiunge, come già detto, una prova di Renkse espressiva sì, ma a volte piuttosto monocorde e poco incisiva, con linee vocali non sempre azzeccatissime. Ombre, queste, che non inficiano le qualità di un album che, nei punti di massima ispirazione, tocca vette molto alte, ma la sensazione è che si poteva fare qualcosa di più, ed avere oggi tra le mani un disco ancora più meritevole di lodi. Probabilmente dividerà il giudizio del pubblico tra chi lo esalterà in virtù degli elementi positivi snocciolati qui sopra, e chi lo sminuirà etichettandolo semplicemente come un disco noioso, fatto che sta che per ogni fan dei Katatonia si tratta di un acquisto praticamente obbligato, così come per gli amanti del gothic di qualità e del rock “colto”.

Luca ‘Nattefrost’ Trifilio

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Tracklist:

01.    Forsaker    04:04
02.    The Longest Year    04:37
03.    Idle Blood    04:21
04.    Onward Into Battle    03:49
05.    Liberation    04:16
06.    The Promise Of Deceit    04:15
07.    Nephilim    04:25
08.    New Night    04:25
09.    Inheritance    04:28
10.    Day & Then The Shade    04:26
11.    Ashen (Swedish Edition bonus track)    04:08
12.    Departer    05:27

Line-up:

Jonas P. Renkse – voce
Anders Nyström – chitarra
Fredrik Norrman – chitarra
Mattias Norrman – basso
Daniel Liljekvist – batteria

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