Recensione: Nightbringers
Ormai è una consuetudine consolidata: ogni due anni, puntualmente, i The Black Dahlia Murder sfornano un nuovo disco.
“Nightbringers” segue quindi a due anni di distanza “Abysmal”, e ne prosegue la trasformazione del sound in un deathcore puro, violentissimo, aggressivo e ferale. Al pari, per dare un’idea, a quello dei Carnifex e/o dei Whitechapel. Infatti, The Black Dahlia Murder hanno alzato l’asticella della potenza, se ancora fosse stato possibile rispetto dalla discografia precedente, facendo di “Nightbringers” un punto di riferimento in materia di deathcore.
La melodia non è stata completamente abbandonata ma spunta con sostanziale rarità, in un sound spaventoso, allucinante per veemenza sonora e, al pari, per pulizia d’esecuzione. Ormai i The Black Dahlia Murder hanno raggiunto e superato la maturità artistica per cui mostrano una tecnica sopraffina, chirurgica, perfetta.
Trevor Strnad ancora una volta si mostra un vocalist eclettico, in grado di esplorare i modi di cantare dei generi *-core con la sua micidiale ugola, roca, scabra, rifinita con la carta di vetro a grana grossa. Senza per questo uniformarsi a delle linee vocali scontate. Anzi, al contrario, dette linee seguono delle coordinate ben definite, in cui Strnad si muove con scioltezza e disinvoltura, nonostante l’abnorme potenza del sound in gioco.
A tal proposito non si può che elogiare il mostruoso, gigantesco, infinito muro di suono eretto dalle due chitarre, Brian Eschbach e Brandon Ellis (sostituto del defezionario Ryan Knight). Il riffing difatti è impenetrabile per il suo elevatissimo contenuto energetico. In tutte le song, difatti, i due guerrieri d’ascia elaborano riff spaccaossa, intrecciati con semplicità sì da dare luogo a un rullo schiacciasassi. Impressionante, anche, la prestazione di Alan Cassidy alla batteria. Un metronomo umano ma, soprattutto, un bombardiere armato di furibondi blast-beats.
La ridetta mancanza, o quasi, di melodia rende più difficile la digestione di “Nightbringers” ma si tratta solo di tempo. Le dissonanze sono tante, e anch’esse contribuiscono a irrigidire il deathcore proposto dai Nostri. Dopo due brani relativamente armonici, ‘Widowmaker’ e ‘Of God and Serpent, of Spectre and Snake’, è la fine: i The Black Dahlia Murder si buttano a capofitto nel tornado della follia, tirando su tracce una più violenta dell’altra sino ad arrivare ai (gustosi) eccessi di ‘Catacomb Hecatomb’ e ‘As Good as Dead’, allucinati attacchi frontali all’arma bianca. Delle vere mitragliate sui denti, delle mazzate sulla schiena. Un turbine in cui è facile perdere il senno, in cui tutto rotea alla velocità della luce attivando la trance da hyper-speed.
“Nightbringers” è un altro tassello evolutivo dei The Black Dahlia Murder , giacché propone una foga devastatrice sin’ora sconosciuta. Forse un po’ di melodia in più non avrebbe guastato ma, di fronte a una simile, mirabile prova di modernissimo deathcore, non si può fare altro che levarsi il cappello.
Daniele “dani66” D’Adamo