Recensione: Nightside

Sesto, attesissimo, album in studio per i Grima, ‘Nightside’ è un distillato di black metal atmosferico che riprende i temi cari alla band siberiana e li spinge all’estremo, in un disco che ha momenti rituali e passaggi epici, con melodie strazianti e apporti folk luminosi e, allo stesso tempo, melanconici.
La foresta, il vento, il gelo, la notte, la caducità della vita umana, la potenza della Natura in questo disco assumono una dimensione teatrale, da epopea tragica, eppure la dolcezza oscura di certi arpeggi di chitarra e certe sospensioni create dal synth scoprono la fragilità che in tutti noi alberga quando i presagi sono chiari e la Morte ci viene incontro, ma sottolineano anche la feroce misericordia della Natura, che ci accoglie nel suo grembo e ci trasforma.
Nell’intro, ‘Cult‘, chitarra e bajan (fisarmonica) stabiliscono il tema. È l’inizio del viaggio di un’anima errante nel vasto mondo, mossa da un desiderio che travalica l’orizzonte e, infatti, la seconda traccia, ‘Beyond The Dark Horizon‘, è un concentrato di energia e ego.
“Il desiderio si estende oltre l’orizzonte / Giorno dopo giorno vaga / Ai bordi che non hanno fine / Scorre come un possente fiume nero.”
La sfida dell’umano alla Natura è un urlare, una volontà di dominio battente come gli zoccoli dei cavalli che vanno alla guerra, ma la foresta risponde in growl, nell’alternanza allo screaming tipica dei Grima, perché essa è ignota e profonda e sa che sta per levarsi la tempesta.
La superbia rende ciechi, non consente di vedere le luci che guidano il cammino. ‘Flight of the Silver Storm‘ è un brano che apre in maniera epica, con il clangore delle spade sui piatti della batteria che presagiscono l’arrivo di armate potenti, invincibili. La tempesta d’argento giunge volando e a nulla varrà la debole resistenza di chi si trova solo in balia delle forze della Natura. Intorno, tutto risplende come argento. Intorno, tutto è ghiaccio e il buio sovrasta l’arroganza del viandante.
“La paura e la fede cieca portano avanti, / Ma la paura è allo stesso tempo ingenua e stupida. /La forte tempesta è così profonda e fitta, / Che i cieli e le stelle non sono visibili dietro di essa.”
Il presagio di morte incombe: il viaggiatore incontra i Raccoglitori di Teschi, fedeli servitori di Grima. In ‘Skull Gatherers’, quarta traccia dell’album, la chitarra evoca una sorta di litania rituale alla quale il bajan risponde per confermare che, sì, nelle antiche leggende è sempre andata così: i Raccoglitori di Teschi si manifestano a colui che è pronto a entrare nel regno delle ombre.
“Nel crepuscolo le ombre sembravano improvvisamente vive / Lentamente accettano la loro immagine / Le orbite vuote divorano la luce / Un sudario rigoglioso, raccolgono la tristezza.”
È a questo punto, con ‘Impending Death Premonition‘, che l’album “fa il salto” e il preambolo di segno narrativo lascia totalmente spazio alla pura intensità evocativa della musica.
La fisarmonica che si unisce al blastbeat, i cori della Chiesa Ortodossa, carichi di misticismo, e riff inequivocabili, sono elementi che presagiscono una lenta e inesorabile discesa nel buio.
In ‘The Nightside‘ lo screaming introduce il melodico lasciarsi andare al freddo e ritorna nella seconda parte del brano con un’intensità devastante, senza possibilità di salvezza. Si sentono i morsi del gelo come quelli dei lupi che dilaniano le carni. Poi entra di nuovo il growl, le voci cupe degli oscuri dei della foresta che accompagnano il morente verso gli ultimi momenti di vita.
‘Where We Are Lost‘ è un concentrato di tristezza e rimpianto. La tristezza e il rimpianto attraversano l’occhio vitreo di colui che muore e ascolta le voci della foresta intorno a sé mentre il battito del cuore si fa discontinuo. Il calore vitale se n’è andato, non c’è più speranza. Il brano è come una marcia funebre, con suoni crudi, a volte distanti, mentre chitarra e batteria sottolineano la disperazione della perdita definitiva con una canto estremo che culmina in un ronzio, preludio della resa.
La chitarra e i cori di ‘Curse of the Void‘ introducono un’alba che piano, piano rischiara la foresta. La triste fine di colui che si è perduto e giace nel fondo della selva è illuminata dal sorgere del sole, un sole che non serve più a scaldare, mentre, intorno, la natura prosegue il suo corso. La coralità è tragica, con una punta di solennità e, allo stesso tempo, serve a mostrare la scarsa importanza di quella morte. Il synth è liquido, la foresta è fatata e sui piccoli destini umani dalla nebbia sorge Grima.
Camminando nella foresta di nuovo incontaminata, nella stupenda ‘Mist and Fog‘ il dio rivendica la sua dimora: è il soffio del vento fra gli alberi, la taiga che accoglie il cadavere e lo trasforma in terra, foglie e rugiada, come è sempre stato. Il bajan celebra la gioia di una metamorfosi eterna, che lascia alla chitarra chiudere la vicenda verso l’outro. Una chitarra che, sempre insieme alla fisarmonica, apre anche ‘Memories of a Forgotten Home‘, l’ultimo brano, dove ciò che resta di quella vita ormai fa parte del bosco e finalmente riconosce in esso la propria casa.
‘Nightside‘ dei Grima è un concept album che per la sua ricchezza non può lasciare indifferenti. Ascoltatelo senza il timore di trovare un lavoro inferiore a ‘Tales of the Enchanted Woods‘ o a ‘Rotten Garden‘. Il suono è vario, le atmosfere black ci sono tutte e la sontuosa potenza di alcuni momenti è davvero seducente.