Recensione: Nine Lives (Reissue)
Agli albori del metal, l’hard rock poneva le fondamenta per un suono libero dalle briglie del pop, il quale, nelle vesti della disco, voleva definitivamente assoggettare lo spirito indomito della musica dura, apparentemente fiaccato dalla rivolta punk.
In quegli anni, si vociferava di un declino ormai non scongiurabile ed imminente per i mostri sacri del movimento, che mostravano evidenti segni di cedimento: questo solo in apparenza perché, se, da una parte, era vero che Led Zeppelin, Black Sabbath e Deep Purple languivano, dall’altra parte, si delineavano e si rafforzavano vecchi e nuovi alfieri per la musica dura, tra i quali gli americani REO Speedwagon.
I REO, originari di Champaign (Illinois), muovono i primi passi nel 1967 per mano di Neal Doughty e Alan Gratzer, ai quali si uniscono il cantante Terry Luttrell, Gary Richrath (chitarra) e Gregg Philbin (basso). Nel 1971, i Nostri esordiscono con l’album omonimo ma arrivano al successo di critica e pubblico registrando il loro ottavo disco, ironicamente intitolato “You Can Tune A Piano, But You Can’t Tuna Fish” (1978).
Per celebrare i nove album pubblicati sino ad allora, l’anno successivo, la band dà alla stampe l’interlocutorio “Nine Lives”, riscoprendo le sue radici hard rock.
Se a “You Can Tune A Piano, But You Can’t Tuna Fish”, infatti, si può rimproverare la mancanza di canzoni dall’inflessione hard’n’roll, “Nine Lives” vorrebbe porre rimedio a questa lacuna, ovviamente, senza eccedere ma rinnovando il giuramento al rock più passionale ed epidermico, libero da schemi e generi come solo la musica americana sapeva fare.
“Nine Lives”, infatti, si nutre e vive di più influenze e sensazioni, riconducibili a due anime predominanti: una più romantica e gioiosa, tipica del REO Speedwagon sound, e una più energica e frizzante, che rimane imprigionata nel groove disarmante di “Heavy On Your Love”.
D’altronde, un titolo come “Heavy On Your Love” non ammette equivoci: il riff ruvido non dà scampo, creando un tessuto musicale penetrato dalla voce deliziosamente viziosa di Cronin, lontana dalle delicatezze a cui i REO ci avevano abituati (“lievi trastulli” che ritorneranno nelle atmosfere intime e vellutate di “You Can’t Fight This Feeling”, masterpiece dei Nostri).
Nell’opener, Cronin spiega da dove deriva la propria forza di volontà e racconta come l’amore lo abbia aiutato a non smarrirsi (“…I was lost but now I’ve found…”) e lo abbia fortificato nell’animo (“…Havin’ you around has made me heavy/Heavy on your love…”).
Nessuna melensa esitazione nemmeno per “Drop It (An Old Disguise)”, il cui virile groove, rifiutando ogni velleità funky, imprime una carica passionale mentre fiancheggia lo spavaldo Kevin, il tutto movimentato dal blues saveur del pianoforte.
E’, tuttavia, nel refrain che Cronin e soci fanno risuonare la loro inequivocabile dichiarazione di intenti: i backings si elevano mentre la sei corde crea un loop dal gusto country/southern rock, che sfocia nel lanciatissimo chorus, in groppa al cavalcante basso di Bruce Hall. All’interno di questa trama, i tasti allestiscono una vivace sessione solista, sempre sostenuta dall’onnipresente guitar play, dominus sfrenato e adrenalinico nella entusiasmante chiusura.
“Drop it (An Old Disguise)” esorta a calare la maschera di finzione indossata nella vita quotidiana e ricorda che non è mai troppo tardi per diventare saggi (“…I may be wealthy but I can still be wise/ Drop my old disguise…”) perché la felicità va ricercata al di là della ricchezza e di una disinibita libertà (“…I do what I always wanted to/ But that’s no way to keep me happy…”).
Giunti al terzo slot, l’anima più melodiosa e quella più istintiva e viscerale del duro hard’n’roll si fondono e flirtano, generando l’hot-shot “Only The Strong Survive”: una sintesi perfetta, ottenuta miscelando armonie trascinanti con tutto l’entusiasmo di “Say You Love Me Or Say Goodnight” (mitica closer dell’album “You Can Tune A Piano, But You Can’t Tuna Fish”).
Anche questa volta, Kevin è perfettamente a suo agio mentre alletta lo spettatore con intonazione sicura e baldanzosa, spingendolo e dominandolo con un ritmo irresistibile nel suo pulsare.
La chitarra nel chorus è una vibrante promessa che esemplifica il titolo della canzone e il peculiare framework di Richrath (dalla veloce diteggiatura) completa il mood della canzone, donandole il mascolino cipiglio del rock più esuberante e vitaminizzato.
Il messaggio di “Only The Strong Survive” appare evidente: la strada della vita (che, nel caso dei REO, coincide con il percorso musicale) è lunga e difficile (“…I heard it was hard/I heard it was long…”) ma è possibile superare le avversità assieme, consapevoli della fortezza del proprio animo (“…But we’ll come back alive/’cause only the strong survive…”).
Con “Easy Money” i REO giocano in casa, riportando in auge uno sfrenato boogie woogie, dove convivono sessioni gentili (accompagnamenti acustici) e indiavolate intercalazioni del guitar work, che ancora una volta impartisce una lezione di energia espressiva.
Non manca, ovviamente, un ritornello vivace, a là hippy rock, come nella migliore tradizione dei Nostri. A completare il quadro, un testo che narra la folle avventura alla volta del Perù per una promessa di soldi e passione, conclusasi in un triste epilogo: tradito dall’amata, il protagonista, è condannato a languire in carcere per possesso di droga (“…one border guard/He opened up my guitar. Hello prison yard. Just to make me mad he smashed my guitar…”).
La cover di “Rock & Roll Music” ripropone il rock effervescente firmato Chuck Berry e reso celebre da re Elvis, una lezione ormai completamente assimilata attraverso le veloci partiture, con l’aggiunta del brio trascinante che una band come questa può regalare (chitarre vivacizzate dal veloce ritmo del blues).
Un chiaroscuro tra l’acustica e grevi iniezioni rock domina l’atipica “Take Me”, dove i backing vocals hanno un retrogusto quasi soul, lontano dalle solite produzioni dei Nostri, e il panneggio chitarristico rimane sospeso tra tensione e attrazione magnetica (accordi semplici ma ipnotici).
Da notare il contributo nel coro di Tom Kelly, fondatore degli I-Ten che, assieme all’amico Billy Steinberg, firmò hit internazionali del pop e del rock (“Like A Virgin” di Madonna e “Sex As A Weapon” dei Pat Benatar, solo per citarne alcune).
Il testo di “Take Me” riflette perfettamente la natura del songwriting: la passione conduce a compiere azioni impensabili e incredibili (“…I could be dancing on the ocean/I could be singing to the sea…”), facendo sentire l’amante come l’incarnazione di un’immagine poetica senza pace, in continuo mutamento (“…but I’m a poetry in motion…”).
Se l’apertura sanguigna di “Nine Lives” è spiazzante, presto i REO tranquillizzano i propri devoti riportandoli a lidi, per così dire, più solari e distesi ma mai privi di aggraziata e intensa poesia. A far da paciere con il lato più soft interviene, infatti, la delicata “Need You Tonight”, che incanta grazie alle carezze dei backing vocals, i quali scivolano suadenti sull’acustica, riportandoci alle armonie più zuccherose dei gloriosi anni ’60.
Tranquilli e rilassati? Aspettate a dirlo perché il romanticismo di “Meet Me On The Mountain” ci scuote, conducendoci verso le emozioni generate dalla forza malinconica del chorus e dal canto disperato della guitar play, il quale muta in solismo liquido capace di delineare una melodia struggente e appassionante.
In “Meet Me On The Mountain”, rivive un sogno di passione nato nella cornice della natura incontaminata, che alimenta i pensieri e i sentimenti degli amanti (“…Maybe it’s the spring putting thoughts in our heads…”) mentre l’inverno si accascia per riposare (“…When the winter lays her head to rest…”). Il ritorno nella “valle”, è il ritorno alla vita quotidiana e corrisponde alla fine dell’idillio (“…returning to our lives in the valley…”).
Del sogno vissuto rimangono solo sentimenti sbiaditi, spazzati via con la rugiada del mattino (“…As the morning came, the feelings faded/ They melted away with the dew…”).
Prima di lasciare “Nine Lives” e avviarsi verso il soft rock, i REO vogliono ancora volta dimostrare il loro amore appassionato per la musica dura più incontaminata e lo fanno nel migliore dei modi con “Back On The Road Again”: mentre la chitarra graffia e il drumming percuote, Bruce Hall si staglia sulla polverosa strada del rock e dall’affiatato combo si innalza la promessa eterna che arde tra le spire vocali. La sei corde di Gary Richrath mette l’ascoltatore con le spalle al muro mentre infligge sferzate di adrenalina con il guitar work tagliente e incisivo, in un crescente turbinio di emozioni.
“Back On The Road Again” narra degli amori passeggeri vissuti da Cronin e compagni durante i tour e rappresenta la vita vagabonda della rockstar, priva di legami affettivi duraturi; terminata una tappa, la band prosegue la propria strada verso un’altra meta, dove vivrà una nuova storia di passione, destinata a concludersi nell’ennesimo triste congedo.
Come la storia insegna, i Nostri, dopo “Nine Lives”, intraprenderanno la strada del mainstream rock (pur non rinunciando ad emozionarci), con il quale riusciranno a coronare il loro sogno di “fama e fortuna”, sebbene legato soprattutto al circuito statunitense.
“Nine Lives” insegna, invece, che la grande musica è molto longeva… molto di più di un gatto con nove vite.
Eric Nicodemo
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