Recensione: Nineteen
L’uomo in nero fuggì nel deserto e il cavaliere lo seguì.
…A indicare la via appariva di tanto in tanto una lapide, perchè di tanto in tanto la pista semicancellata scavata nella crosta alcalina era stata una strada di corriere. Da allora il mondo era andato avanti. Il mondo si era svuotato.
…e il cavaliere lo seguì.
Nell’incedere impietoso del tempo alcuni di noi hanno deciso più o meno consapevolmente di seguire il peregrinare del cavaliere Roland di Gilead alla ricerca della Torre Nera perchè in fondo quel viaggio sconfina nel mondo del non possibile interpretato da quel genere fantasy che si è legato al power metal o più in generale al metal per naturale assimilazione.
La saga della Torra Nera si compone di otto libri scritti (VII i tomi che all’apparenza esauriscono la vicenda, l’ottavo riprende la vicenda da un punto avanzato) da Stephen King tra il 1982 e il 2012, lungo un arco temporale quindi di trenta anni. Detta così già suona lunga, anche se nel frattempo l’autore americano ha scritto anche altro, ma la sola stesura del primo tomo ha richiesto circa dodici anni di gestazione. Inoltre riferimenti a quel mondo verranno ripresi più volte in altri scritti quali “La Casa Oscura”, “Il Talismano” oppure “L’Ombra dello Scorpione”, tra gli altri.
La storia non è del tutto originale, infatti prende dichiaratamente ispirazione dal poema di “Childe Roland alla Torre Nera giunse” di Robert Browning che era parte di una raccolta di poemi intolata “Men and Woman” pubblicata nel 1855.
La materia è antica quindi. I termini e le immagini della Torre Nera diventano senza tempo e si muovono ai nostri giorni senza perdere un oncia della loro potenza evocativa. Nella musica metal i Blind Guardian hanno ripetutamente ripreso quella storia trasponendola nei testi delle loro canzoni (“Traveler in Time”, “Somewhere Far Beyond”, “Mordred’s song” e “Carry the Blessed Home” tra quelle a me note) è dei nostri giorni giorni l’uscita di “Beyond the Red Mirror”, album controverso (de che? Un capolovoro e basta!), riprende un concept originale, in realtà teorizzo che quella storia sia fortemente ispirata alla saga della Torra Nera o addirittura possa essere una diramazione di quei mondi, tanti i riferimenti: Mordred che invade la Terra Promessa poi chiamata Discordia (esiste pure un gioco virtuale intitolato ad un mondo della Torre Nera e ideato da Stephen King), il corvo, il personaggio principale si chiama Arthur (la saga della Torre Nera si ispira proprio, tra le altre cose, al ciclo arturiano), e altri.
….da allora il mondo era andato avanti.
Cosa è successo realmente? Perchè il tempo è diventato singolarità cancellando altri mondi e modificando persino la rotazione del sole? Roland di Gilead, il cavaliere, uno che potrebbe essere uscito dal set del “Il buono, il brutto, il cattivo” insegue l’uomo nero (tale Walter O’Dim) ed è alla ricerca della Torre Nera. Però, da qualche parte, c’è anche il Re Rosso che quella torre la vuole distruggere, in modo che il conitinuum spazio temporale venga cancellato gettando il mondo nel caos. L’Uomo Nero non è altro che un tirapiedi del Re Rosso, ma certamente le sue mire sono ambigue, perchè il male non contempla di certo la parola fedeltà.
Il cammino di Roland sarà lungo e sempre in bilico tra luce e tenebre, il suo fine nobile di accordare il tempo al suo scorrere relativamente lineare diverrà invece narrazione epica; incontrerà diverse persone sul suo cammino che saranno a volte di aiuto talvolta ostacolo, ma il fine del cavaliere non ammette divagazioni se non la vittoria finale.
Il tempo scorre, ma non come dovrebbe e questo storia certamente continuerà a vivere in mille diramazioni anche attraverso le parole e la musica di gruppi come gli italiani SpellBlast.
….La Torre Nera: 19 passi alla prossima porta.
Gli SpellBlast esordisco con il loro primo album ufficiale nel 2007 (il primo demo intitolato “Ray of Time” è stato rilasciato nel 2004) e la loro musica è al principio power metal contaminato dal folk. Convincono da subito. “Horns of Silence” viene ben recepito dalla critica e dal pubblico. Poi tre anni dopo rilasciano “Battlecry” e diventano epici, ancora un buon album. Purtroppo non esplodono in termini di pubblico come si poteva sperare, complice forse il ka (destino nella Lingua Eccelsa creata da Stephen King per la saga) oppure più semplicemente per via delle disavventure che colpiscono la formazione nel corso degli anni. Infatti la line-up viene rinnovata diverse volte fino ad arrivare al 2013 con l’ingresso alla batteria di Michele Olmi e alla voce Daniele Scavoni. L’unico membro sopravissuto dagli esordi ad oggi è il chitarrista Luca Arzuffi, diversamente Xavier Rota è al basso dal 2003.
Dobbiamo aspettare il 2014 per poter ascoltare l’album autoprodotto, il primo indipendente nella storia della band, dal titolo “Nineteen”, 19. Quel numero è legato alla saga della Torre Nera in diversi modi. Negli ultimi capitoli della saga scritta da Stephen King ossessionerà in sogni e visioni il cavaliere di Gilead, ma è anche il numero di passi che misurano la distanza tra una porta e l’altra della Torre. Non solo vi sono altri collegamenti trasversali che attreversano i libri della saga stessa rimandando a quel numero, ma in ultimo si dice che corrisponda all’età in cui l’autore del Maine ha cominciato a scrivere la storia.
Il disco degli SpellBlast è un concept legato alla saga della Torre Nera. Tuttavia qui racconteremo la musica con soli occasionali riferimenti alla storia. Vi ho già tediato abbastanza.
L’album prende l’avvio con “Banished”, l’esiliato e vi sono riferimenti all’uomo in Nero (puppet of the crimson king) e al suo duello con il cavaliere (nella versione inglese: guslinger, chi ha detto Demons and Wizards? “Touched by the Crimson King”, sempre lui il Re Rosso). Avvio epico e oscuro, batteria, chitarre a evocare sogni, fantasmi, mondi paralleli in divenire. La voce di Scavoni senza troppi fronzoli ci fà correre in quelle pianure, in oscuri anfratti ed in ultimo evocando fuochi eterni e lune spettrali. Non un accenno a eventuali virtuosmi vocali. Meglio così. Tutto si muove seguendo una melodia forte, evocativa. Così la chitarra di Arzuffi funziona anche nell’assolo inserendosi perfettamente in un brano di grande impatto.
La seconda traccia “Eyes In the Void” non molla nulla, anzi dovendo descrivere l’incrocio di destini, perchè il cavaliere è vicino alla Torre Nera, al suo ka, alza i toni e ci riesce in un ritornello altisonante, epico, roba da farci affrontare l’uomo in Nero senza batter ciglio.
Ho parlato di duelli e del “Il Buono, il Brutto e il Cattivo” non certamente a caso in quanto il cavaliere ha sembianze western, così “Highway to Lud” è una strumentale che richiama il cinema, quello di Sergio Leone, c’è la chitarra acustica, le voci primitive, e quei suoni da cinema spaghetti infine accenni di distorsione per poi espandersi in una cavalcata sinfonica da cowboy.
La quarta traccia “A World that Has Moved on” corre tra mutazioni temporali, mondi che scompaiono verso il destino che inevitabilmente è quello della Torre Nera. La voce è più rabbiosa e il coro ci piomba addosso con forza. Il brano chiude su note sinfoniche verso lo spazio oscuro e assoluto.
Visto che il tempo ora si muove più velocemente, vorrei evitare di farvi collassare in una recensione extra large, opto per riassumervi i brani che mi hanno più colpito tra quelli rimanenti.
Così non posso esimermi dal non citare la sesta traccia “Into Demon’s Nest”, quel riff granitico a cui risponde la batteria possente che trova nella voce granitica di Daniele Scavoni la sua perfetta continuazione per poi far deflagrare in una melodia dal coro al solito trascinante. Ci sono richiami western e passaggi non appariscenti, ma davvero ben arrangiati. Ancora vi consiglio di ascoltare “The Ride” e “Programmed to Serve”, ritornelli da urlare a squarcia gola a ricordarci che il power metal è anche e sopratutto quella cosa lì. Non facciamo gli schizzinosi stavolta, non è il caso.
Chiude l’album “The Calling” e malgrado non cerchi una melodia così immediata il brano nel suo incedere epico e con quei richiami al western (che spesso ritornano nelle diverse anche solo sfumati) diventa epica e granitica. Degna chiusura nell’infinito viaggio verso la Torre Nera.
Epilogo. Conversazioni da un mondo in divenire.
In un mondo che esiste in più dimensioni contemporaneamente mi fanno notare che questa recensione esce in ritardo di quasi un anno. Il mondo è andato avanti. Vero e sfruttiamo questa singolarità per ricordare che gli SpellBlast hanno fatto un ottimo album e vale la pena riscoprirlo e raccontarlo. Sempre in quel mondo lì, si insomma il forum di truemetal.it mi dicono che:
Mik92 : …il disco mi è piaciuto molto. Forse l’ho trovato un po’ troppo lineare, ma ci sono delle canzoni che sono un perfetto esempio di power potente….
LostMetallerOnTheIsland: Nineteen è stato uno degli album che ho più ascoltato l’anno scorso e a breve vedo di comprare gli altri due!
Io concordo con entrambi. Quello che manca è un po’ di sregolatezza alla “Goblin’Song” (dall’eccellente album di debutto “Horns of Silence”), quel colpo di genio che manda la palla in porta con la mano e ti fà credere che in fondo è giusto così. Però nel nuovo album ci sono soluzioni interessanti e originali come richiami alla musica western e alcune orchestrazioni che ben armonizzano l’incedere epico e potente dei brani.
Gli SpellBlast in “Nineteen” si muovono potenti per i pianeti della Torre Nera creando brani in un power metal maestoso e melodico in grado di sospendere il tempo e sprigionare energia che deflagherà dal vivo senza pietà.
L’uomo in nero fuggì nel deserto e il cavaliere lo seguì.
Marco Giono