Recensione: niurAfrica

Di Daniele Balestrieri - 20 Dicembre 2005 - 0:00
niurAfrica
Band: Lamentu
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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90

Tuba in testa e chitarra alla mano, Nostra Eccellente Maestà Agghiastru ci riporta nuovamente nei gorghi della sua Famiglia, della sua Mediterranean Scene che fa della Trinacria la regina peccatrice del metal più oscuro, torbido e meridionale della nostra terra. Dopo aver storicamente militato negli Inchiuvatu, Maleficu Santificatu, 3, Ultima Missa e altri figli della Sicilia, coadiuvato da Liatu, Liotrum, Lord Timpesta alle chitarre, Ummira al basso e Jafà alla batteria e alle eccellenti percussioni, Agghiastru ci trascina bendati nell’Africa oscura con questo NiurAfrica, una sinfonia grezza e contorta come un deserto di roccia, e vivida come una tribù di nomadi.
Cinque tracce intrise di una grande originalità, rara nel black metal ma cavallo di battaglia della Mediterranean Scene, che da sempre si è distinta dal movimento black principale proprio grazie a trovate inusuali e a melodie molto diverse da quelle della scuola scando-norvegese grazie al misantropico legame con una terra tanto differente da quelle del nord Europa come la Sicilia.

Lo stesso Agghiastru ci informa che non è cosa per tutti: il demo è unicamente reperibile presso la Inch Production, e ogni singola copia è timbrata a mano e firmata. Quasi una sorta di controllo, insomma – ogni copia fa parte di un reticolo impalpabile centrato a Sciacca, Agrigento, e tutte le copie guardano a sud, in quell’africa il cui nilo scorre come un verme fetido dalla cima del continente nero, sorprendentemente simile a un teschio primordiale.
Musicalmente è una vera sopresa: già conoscevo gli Inchiuvatu e i Maleficu Santificatu, e pensavo di trovarmi tra le mani un prodotto di quella stessa fattura, e invece sono rimasto profondamente colpito – NiurAfrica è Africa, e la musica è una protuberanza naturale del grande continente. Già l’intro, “Turmintaria“, esplode di ritmi tribali come non se ne godeva dai tempi di Roots bloody Roots, ma qui rappresentati con più cultura e grazia, mentre vengono rotti da un sibilare di strumenti classici che riportano alla mente quelle lugubri atmosfere tanto care alla grande famiglia siciliana. Mentre strumenti a fiato tribali e percussioni folli imitano l’incalzare del vento, di colpo veniamo introdotti a “Inscika“, la seconda traccia e mia preferita; una nenia terrificante, angosciosa, in cui le chitarre figlie del black più riflessivo si sposano con le percussioni sempre in primo piano e con uno scream davvero di classe, regolare e pulito come poche volte ho sentito in prodotti “amatoriali” (se di amatori possiamo parlare, con un’esperienza ormai 15ennale come quella di Agghiastru). Lo stridore prosegue, sempre posato e moderato come un paziente padre di famiglia, con la title track “NiurAfrica“, in cui una voce ripete ruggendo una litania che sembra uscire direttamente da un leone nella savana, un suono imperioso che ben si affianca ai riff chiari e ben distinti, che quasi non sembrerebbero black se non fosse per lo scream terrificante e per quegli inserti incomprensibili di strumenti quasi opalescenti, che traviano e guidano l’ascolto per i pochi minuti che annunciano la pausa strumentale, “Senza Firucia“. In due minuti, gli eterei strumenti ambient trasportano l’ascoltatore dalla vastità degli spazi terresti alla vastità degli spazi celesti, senza particolari velleità paesaggistiche: pare infatti che Agghiastru non gradisca particolarmente la bellezza della sua terra, e che ciò che esprime in realtà è la sua Sicilia, il suo Mediterraneo interiore. Probabilmente questo momento di pausa rende bene l’interiorizzazione dei concetti tribali finora espressi, tanto che si riprende martellando con “Vegghia“, ultima traccia molto colorita e personale, forse la più matura dell’intero album, che dimostra e conferma la grande capacità dei musicisti e dell’Agghiastru cantante che in siciliano strettissimo canta il proprio odio per il genere umano e il mistero delle proprie terre.
Un vero peccato non comprendere quasi nulla delle liriche, in dialetto molto pesante, ma tutti quelli che conoscono la Mediterranean sanno bene a cosa vanno incontro.Tra tutti i vari lavori finora prodotti dalla Inch Prod. questo è in assoluto quello che mi ha convinto di più: prodotto ottimamente, di grande gusto stilistico, con ritmi travolgenti e riff orecchiabili, risultando forse per questo il più fruibile da un pubblico eterogeneo. Peccato per la sua lunghezza – fosse stato un disco pieno non solo l’avrei comprato a occhi chiusi ma l’avrei onorato quasi a pieni punti.
Per essere un prodotto non distribuito da una grande etichetta è un lavoro notevole, il demo migliore di quest’anno per quanto mi riguarda. Un poderoso ruggito di forza dalla Mediterranean Scene.

TRACKLIST:

1 – Turmintaria
2 – Inscika
3 – NiurAfrica
4 – Senza Firucia
5 – Vegghia

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