Recensione: No Control
Se oggi c’è tanta abbondanza di donne in ambito hard rock ed heavy metal è anche grazie a Suzi Quatro. A partire dai tardi Sessanta e per tutti i Settanta, leonesse come Grace Slick, Patti Smith, Janis Joplin, Stevie Nicks, Debbie Harry, Tina Turner, Cher, Joni MItchell, Marianne Faithfull, le Fanny delle sorelle Millington, Joan Jett e le Runaways, hanno pavimentato la strada per l’esplosione muliebre che si verificherà nei decenni a seguire. Suzi, come detto, rientra a pieno titolo tra questi numi tutelari, alla sua figura si sono ispirate in tante, contemporanee e figlie d’arte che hanno poi imbracciato uno strumento e/o il microfono negli anni successivi. Artista poliedrica, sia musicista (suona il basso) che cantante, sarà anche attrice (forse i più la ricordano in qualche episodio di Happy Days), potendo vantare l’invidiabile primato di aver venduto oltre 45 milioni di dischi in carriera. 16 studio album fino al 2017, 6 nei 70s, 3 negli 80s, 4 nei 90s ed i restanti pubblicati nel nuovo millennio. La Golden Age fu quella degli anni Settanta naturalmente e si sarebbe portati a pensare che con il volgere degli anni, il cambiamento d’epoca, di gusti musicali, di stili più o meno contemporanei, un “dinosauro” come Suzi avesse mirato sostanzialmente a vivacchiare e sopravvivere una volta raggiunto il XXI° secolo. Beh, provate a dare un ascolto a “No Control” e vi renderete subito conto di quanto una simile percezione al ribasso sia una clamorosa cantonata.
Gli undici pezzi (tredici nel caso dell’edizione in vinile) sono il parto della collaborazione artistica tra Suzi ed il figlio del suo primo matrimonio, Richard Tuckey. Una joint venture familiare che evidentemente ha valorizzato tutti gli apsetti positivi di una perfetta sintonia parentale. Ciò che primariamente colpisce è l’estrema compattezza, omogeneità e coerenza del materiale proposto, una curva qualitativa che non ha un singolo calo su undici posizioni in scaletta e che testimonia uno stato di forma invidiabile, a dispetto dei 69 compleanni già festeggiati dalla rocker di Detroit. Il songwriting è fatto di composizioni tanto basiche quano intense, niente fuochi d’artificio, nessuna carnevalata o attualizzazione di alcunché, solo essenziale, lineare, ficcante rock blues vecchia scuola, qua e là abbellito ed impreziosito da una sezione fiati, armoniche a bocca confederate (“Easy Pickin’s”), venature caraibiche (“Love Isn’t Fair“), un pizzico di teatralità e tanta tanta personalità da parte di un’artista che ha sulle proprie spalle un’esperienza enorme, un talento oramai acclarato e universalmente riconosciuto, ma anche l’umiltà di rimettersi in gioco come una qualunque. “Bass Line” è un altro pezzo fenomenale e, paradossalmente assieme a “Love Isn’t Fair“, è tra i momenti migliori del platter, pur trattandosi delle due tracce forse più distanti dal rock più ortodosso. La titletrack apre l’album all’insegna dell’adrenalina, “Macho Man” è un’altra iniezione di energia ed elettricità. Curiosamente “Strings” ha qualche richiamo nella melodia della strofa a “Con Le Mani” di Zucchero Fornaciari, ma poi in fase di chorus evolve in tutt’altra direzione.
Un disco molto ben assemblato, carico di rock, grinta e sculettamento. Colpisce la gran classe con cui Suzi conduce la danza, la finezza, l’eleganza, la signorilità che tuttavia non trasformano le canzoni in parentesi snob di una signora attempata fuori dal tempo, ma anzi sottolineano ancora di più la qualità trasversale ed inalterata di un’artista senza tempo. “No Control” è un album classico e fresco al contempo, la zampata di uno di quei fari che dagli anni ’70 in poi ha illuminato l’oceano del rock e che tutt’oggi costituisce un ineludibile punto di riferimento per solcare quelle onde senza perdersi alla deriva, o peggio, naufragare su qualche socglio.
Marco Tripodi