Recensione: No Hill For A Climber
La musica riesce sempre a innescare particolari ed esotici meccanismi di intersezione tra le più differenti espressioni artistiche e culturali, così come riesce sempre a sorprendere per aneddoti che aggiungono colore e calore alla realizzazione di un album, a un concerto, a una specifica esibizione, a un movimento ispirativo, ecc.
Neal Morse, la cui prolifica produzione musicale può essere assimilata a quella letteraria di Camilleri, giusto per citare un esempio, nel caso della sua ultima fatica musicale, intitolata No Hill For A Climb, riesce a superare i contrasti tra generazioni differenti, contrariamente a quanto fa Pirandello ne I Vecchi e i giovani, e a produrre questo questo lavoro facendosi affiancare dai The Resonance, una band di giovani e talentuosi musicisti della scena progressive di Nashville.
Sorvolando sui suoi servizi streaming personalizzati e sull’aderenza con Barbara Kingsolver (che ha ispirato il titolo dell’album), Neal Morse, con i The Resonance, ha prodotto un lavoro in linea con la sua produzione, che si muove ampiamente nelle recinzioni da lui già tracciate. Si riconosce sempre, come spinta musicale, la mano di Morse e il resto dei musicisti appaiono in evidente stato di grazia a livello tecnico.
Quindi si è di fronte al nuovo lavoro di Neal Morse, noto polistrumentista di Nashville che ha all’attivo, in ambito prog, una vastissima discografia e numerose collaborazioni con musicisti di altissimo profilo. Per chi scrive questo artista rappresenta un po’ una certezza musicale, un’ancora, una roccia nell’intero panorama prog.
Eernity In Your Eyes apre le danze con i suoi quasi 22 minuti di esecuzione. L’intro è epica, suggestiva e orchestrale con break d’apertura con chitarre distorte che incantano con melodie rilassate e sognanti. Le dissonanze e il lavoro strumentale si infittiscono fino all’ingresso vero e proprio delle lyrics.
Da subito si nota la “solita” produzione Inside Out, pulitissima e potente, molto definita in ogni singolo strumento, ma che accomuna purtroppo molti progetti legati alla stessa etichetta (le batterie sembrano mixate con lo stampo se paragonate ad altre produzioni sempre Inside Out di artisti diversi).
Per l’occasione Neal ha reclutato (nuovamente) alcuni musicisti molto giovani come Chris Riley (tastiere, Chitarre, Basso, Voce solista), Andre Madatian (chitarre), Philip Martin e Joe Ganzelli (batteria) per la sezione ritmica, e il risultato è davvero soddisfacente. Il livello tecnico è molto alto, come al solito per le produzioni di questo artista e come sempre ogni virtuosismo non è mai fine a sé stesso.
Le parti al microfono sono divise tra Johnny Bisaha, ugola possente e dall’estensione notevole fanatico di Devin Townsend (infatti il suo disco proferito è Ocean Machine: Biomech del ’97), il già citato Chris Riley e lo stesso Neal Morse.
All the rage è un trionfo, un brano da ascoltare di primo mattino a tutto volume per assicurarsi la carica per affrontare la giornata. Il chorus si stampa nella mente per la sua semplicità, pur non risultando mai banale. Gli intermezzi strumentali sono il marchio di fabbrica del nostro polistrumentista e qui non rappresentano altro che delle valorizzazioni che impreziosiscono la song in oggetto (come dovrebbe sempre essere).
Thief nasce come singolo ed è un brano molto intenso, carico di nostalgia e atmosfere sognanti soprattutto nel bridge. Gli arrangiamenti sono da manuale, si passa da uno start in sordina dove il basso tiene le redini della situazione per poi evolversi in qualcosa di più dark. Il chorus è davvero evocativo con dei lavori corali che ricordano i primi Queen.
La chitarra di Andre Madatian è sempre in primo piano, un po’ come in tutto il platter e c’è spazio anche per il sound da Big Band Jazz Orchestra nel finale.
Punto senza dubbio tra i più alti del disco, la band mostra tutta la sua perizia tecnica restando sempre al servizio della musica. In pochi minuti si concentrano musicalmente generi, epoche, stili e atmosfere diversissime eppure magistralmente assemblate tra loro dalla mente di Morse. Letteralmente un viaggio ipnotico
Il buon Neal, in fase di promozione, ha affermato che la struttura di questo album può essere paragonata a quella di Bridge Across Forever dei Transatlantic o V degli Spock’s Beard, anche se non certo per suoni o contenuti.
Da segnalare qui anche la presenza di Chris Carmichael (Violino, Viola, Violoncello), Amy Pippin e Julie Harrison (additional vocals), Chris West (Tromba, Flicorno) e Desmond Ng (Trombone ed Eufonio).
Siamo giunti alla title track, che supera addirittura i 28 minuti e crea innegabilmente in chi scrive delle grosse aspettative. L’intro è fiabesca e gli echi dei migliori Genesis arrivano alle nostre orecchie per poi scaldare il cuore. Al minuto 09:30 c’è anche spazio per un sitar in una collocazione orchestrale davvero di classe, il chorus vero e proprio non arriva però prima dei 16 minuti, dopo aver superato una parte corale oscura e serrata ed è uno di quei momenti in cui ci si accorge di aver speso bene la propria paghetta per aver comprato il disco (disponibile in Limited 2CD Digipak con versioni strumentali, standard CD e, Gatefold 140g 2LP e ovviamente come Digital Album). Il momento più emozionante è arrivato, indescrivibile per la moltitudine di parti strumentali e corali, cambi di timing e orchestrazioni degne di un musical a cui affezionarsi al primo ascolto.
In chiusura preferiremmo non fare paragoni con gli altri capolavori del passato, quelli targati Spock’s Beard, Flying Colors, Transatlantic e The Neal Morse Band. Piuttosto c’è da soffermarsi su quanto possa essere quest’uomo maledettamente baciato dalla fortuna (concetto forse un po’ lontano dal suo modo di vedere le cose), da riuscire a scrivere ogni volta dei piccoli capitoli musicali così intensi e ispirati. Siamo di fronte all’ennesimo (per fortuna) viaggio sonoro (e non) che ci fa sognare, riflettere, desiderare, perfino rilassare in compagnia di chi non ha voluto osare riguardo a sperimentazioni o innovazioni uscendo dalla sua zona di comfort, zona quest’ultima di così vaste vedute artistiche da far impallidire la metà delle band progressive e non in circolazione. Questo è un dato di fatto.