Recensione: No Limit to the Evil

Di Stefano Ricetti - 8 Marzo 2015 - 12:30
No Limit to the Evil
Band: Zero Down
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2014
Nazione:
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66

Americani di Seattle, con all’attivo quattro full length compreso questo oggetto della recensione, gli Zero Down licenziano No Limit to the Evil, contenente dieci pezzi, per l’italianissima Minotauro Records. Ad accompagnare la release, un libretto di otto pagine ma soprattutto la copertina curata da un mago della portata di Ed Repka.

Cinque i componenti la band: Lenny Burnett (chitarra), Matt Fox (chitarra), Ron E. Banner (basso), Chris Gohde (batteria) e per finire Mark “Hawk” Hawkinson al microfono, dall’ugola acida al punto giusto. La foto riportata sull’ultima pagina del booklet li immortala di fronte a un campo di grano, senza fronzolo alcuno, denotando quindi l’immagine di una band tutta sostanza e Metallo. Le cronache narrano della loro presenza in qualità di opener al servizio di grossi calibri quali Accept, Diamond Head e Motley Crue, a significare che i nostri non sono di certo gli ultimi cudeghìn sulla piazza.

Il loro heavy metal sgraziato si piazza idealmente nell’interregno creato dalle bordate di gruppi duri e puri quali Judas Priest/Accept e le cose più violente vomitate da W.A.S.P./Crue, il tutto corroborato dalla fuck you attitude espressa da sempre dai Motorhead.              

Return of the Godz è un pezzo chiaramente ispirato alla grandissima lezione impartita decenni fa e tuttora attualissima da parte dei Leoni di Birmingham sopraccitati. Certo, la classe e la capacità penetrativa di Ian Hill e soci è di altra caratura ma va sottolineato che anche gli Zero Down sanno mazzolare a dovere, alla bisogna! L’impianto HM di No Limit to the Evil ricorda gli ‘Stallions dello Yorkshire Saxon sebbene i chorus siano di altra fattura, più specificatamente di tipica matrice yankee. Vagamente a la Accept risulta il costrutto di Devils Thorn, ordinaria Cold Winters Night, mentre scorre senza impressionare la ritmatissima Leche de Tigre, infarcita da un fottuto coro da urlare all’unisono in sede live.    

Velocità assassine la fanno da padrone in Phantom Host, brano nel quale i cinque metaller di Seattle tirano in modalità Anvil fino alla fine. Di parere nettamente opposto la successiva Suicide Girl, che fa il verso ai Motley Crue più scarcassati. Notevole il basso che apre Steve McQueen, pezzo quadrato di fortissima ispirazione Accept, mentre 2 Tonne Hammer impersona un mix bastardo fra l’HM in your face e la sfrontatezza di talune band patinate della Los Angeles anni Ottanta. A chiudere baracca e burattini ci pensa Black Rhino, che non si discosta di un millimetro dalla cifra espressa da parte degli Zero Down sino a questo momento.

Mark “Hawk” Hawkinson e soci rappresentano un manipolo di metallari dal forte credo, profondamente focalizzati nella proposta e con il piglio giusto. No Limit to the Evil è semplicemente il prodotto naturale di quest’attitudine: un album onesto, nulla più e nulla meno. Certo è che per passare al piano superiore i nostri devono lavorare ben bene sul songwriting, in futuro, così da poter esprimere la giusta dose di personalità, fondamentale per non risultare a vita la copia di Tizio e Caio.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

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