Recensione: No Man’s Land
È opinione diffusa quando si scomodano i grandi nomi del passato in ambito Aor/Pomp che ci sia sempre un tentativo di lesa maestà. Il timore è quello di celebrare frettolosamente e con irriguardosi paragoni nuove uscite discografiche che, passati gli entusiasmi iniziali, si attestano col tempo su livelli di mediocrità o, peggio, finiscono nel dimenticatoio.
La premessa è doverosa prima di sottoporre alla vosta attenzione l’ultima fatica discografica, dopo la promettente auto-produzione di due anni fa intitolata The Time is Over, dei nostrani My Land, dai quali tutti attendevano il grande salto di qualità.
Il progetto vede impegnati il batterista Paolo Morbini e il cantante Guido Priori, principali sceneggiatori di un “revival” sonoro tanto caro ai fan che anni addietro seguirono con fedeltà quasi religiosa le gesta dei massimi interpreti del genere: i big act che rispondono ai nomi di Journey, Survivor, Foreigner e Toto, e che rappresentano ancora oggi il gotha dell’ Aor e dell’ hard melodico qual si voglia.
Le premesse a dire il vero c’erano tutte, perché nessuno ha mai messo in dubbio le potenzialità di una band che vedeva nella talentuosa voce dello stesso Priori e nel portentoso drumming di Morbini due garanzie assolute in termini di affidabilità e tecnica.
Se poi aggiungiamo la collaborazione illustre dell’ex Europe Kee Marcello (che ha messo del suo in questa release pescando nel sound di “Prisoners in Paradise” dei suoi ex compagni di avventura) e di Tommy Denander, che con Marco Andreasi e Marzio Ker completano a livello chitarristico la partecipazione al disco, il quadro è completo.
Il risultato è questo “No Man’s Land” targato Valery Records, che senza perderci in inutli convenevoli, rappresenta uno dei migliori prodotti in puro AOR-style degli ultimi anni, energizzato dal valore aggiunto dell’ottima produzione, ricca di mille sfumature, curata maniacalmente nei dettagli e di pari passo col brillante songwriting del disco.
Allo stato attuale delle cose, dopo ripetuti ascolti, il gruppo si candida in definitiva come una splendida realtà che interpreta al meglio lo splendido connubio AOR/Pomp/epicità dal grande pathos e dalle suggestive tinte emozionali tanto care agli inglesi Magnum (tra i massimi esponenti del genere), felice fonte di ispirazione del sound proposto in questi solchi.
L’obiettivo riuscito di rivestire le song con climax di grande feeling, suggestione e passionalità è il vero punto di forza di tutto il disco: cascate di melodia unite a una effervescenza strumentale di grande impatto catturano l’ attenzione dei palati più esigenti, e rappresentano il tessuto sonoro portante di tutto il disco.
Nessun timore reverenziale verso i cosidetti “grandi nomi” dal blasone importante con la convinzione, una volta di più, che per coniugare e ascoltare il binomio rock-melodia di alto livello non è necessario essere esterofili per vocazione: i ripetuti ascolti mi hanno convinto della solidità strutturale di un lavoro che, per rapportarci solo alle band di casa nostra, non mi capitava di ascoltare dai tempi dei torinesi Elektra Drive.
La consapevolezza dei propri mezzi e la perizia tecnica del disco non temono presunte benevolenze “di campanile” e le credenziali per conquistarsi attenzioni importanti oltralpe ci sono tutte, a partire dalla scelta di produrre il disco in terra di Svezia al cospetto del citato Marcello.
Se proprio dobbiamo a malincuore cimentarci nelle citazioni dei singoli pezzi col rischio di tralasciarne qualcuno, è impossibile non fare riferimento a momenti come “The Wind Of Late September”, dal refrain stellare in crescendo, e potenziale hit, o dall’espressività delle tinte barocche di “One Step Closer”, tra i migliori brani del disco; entrambe rappresentano la prova tangibile di come questo full-length sia nato sotto una buona stella, lontano anni luce da prevedibili clichè che spesso sono stati una costante nei dischi di nomi ben più altisonanti e celebrati del genere negli ultimi anni: la sintesi ideale di come l’AOR possa meravigliosamente convivere con atmosfere epiche e di grande pathos. Priori si mantiene sempre su registri molto alti omaggiando con convinzione sua maestà Steve Perry, e interpreta magistralmente i due brani, che con i loro refrain ariosi e trascinanti hanno una marcia in più: la prima nel favoloso assolo di Kee Marcello che, se mai ce ne fosse stato bisogno, dimostra un gusto melodico davvero fuori dal comune, e l’ altra nel suo ritmo palpitante e “muscolare”, con un drumming ben calibrato e in grande evidenza. Oppure come non citare l’opener “Anytime”? Maestosa ed elegante nell’intro tastiera/voce e impregnata di un lirismo che da il paio con un’essenzialità di espressione fondamentale in un genere dove il “già sentito” è uno spettro sempre incombente. Non soffermarsi poi sul rock’n’roll ritmato di “Age my dreams” sarebbe pura eresia, così come lo sarebbe non citare la gradevole “Voices” dalle ritmiche Toto-oriented.
La certezza di trovarsi di fronte a un prodotto competitivo e senza cali di tensione è rafforzata dalle conclusive “Running in the night”, fiera nell’andatura e grondante di epicità e dalla estrosa “Prisoner of love” che portano il disco su registri più heavy, con un drumming nuovamente sugli scudi.
Avvicinatevi senza timori a questo disco; non vedo il motivo per il quale dobbiate rimanere delusi.
Track list:
1. Anytime
2. The Wind Of Late September
3. (Someday) Love Leaves You Lonely
4. Heat Of Emotion
5. How Much Love
6. Age Of My Dreams
7. Voices
8. One Step Closer
9. Running In The Night
10. Prisoner Of Love
Line up:
* Paolo Morbini: drums
* Guido Priori: vocals
* Marco Andreasi: guitars
* Stefano Andreasi: keyboards
* Clod Corazza: bass
* Marzio Ker: guitars
Special guest:
* Kee Marcello: guitar
* Tommy Denander: guitar