Recensione: No need to reason
Probabilmente, senza il boom dei Sólstafir, i Kontinuum non sarebbero mai finiti nel rooster della Season of Mist. Non per loro demerito, sia chiaro. Di fatto, però, i Sólstafir hanno ridisegnato i confini del metal, mischiandolo al post-rock in una maniera originale e anche piuttosto prossima all’estetica indie. Di fatto, a ben guardare, l’evoluzione del quartetto di Reykiavík li ha portati ad essere ‘non esattamente’ metal. Diciamolo pure, fossero arrivati al loro sound attuale (da “Ótta” in qua) dieci anni orsono, difficilmente li avremmo visti su questa pagina in tempo reale.
Comunque sia, la Season of Mists un occhio di riguardo all’estetica ce lo ha sempre avuto (a cominciare dal fatto che il nome della label è una citazione di Keats, il più esteta dei poeti romantici). E dunque, perché non siglare un contratto coi Kontinuum, conterranei dei Sólstafir? Detto fatto, ed ecco i nostri arrivare al terzo album, “No need to reason”. Va detto però che i Kontinuum, per come son ora, di metal hanno poco e forse anche meno dei Sólstafir. Tralasciando “Warm Blood” o “Erotica”, belle grezze e ruvide. Tralasciamo anche “Low Road”, che per qualche ignoto motivo, forse certe timbriche del singer Birgir Thorgeirsson, mi fa venire in mente gli album “Eternity” e “Alternativ 4” degli Anathema. Tralasciamo quanto vogliamo, ma non possiamo nasconderci che, a tutti gli effetti, i Kontinuum fanno, ad ora, uno strano gothic rock, estremamente malinconico, spesso infarcito pesantemente di new wave e molto, molto, indie. Fossero usciti loro dieci anni fa, sull’onda degli Interpol, potrebbero essere una delle band ‘alternative’ più in vista del pianeta.
Fatto sta, che la parola indie, al recensore, fa salire brutte sensazioni, perché l’indie lo ha ascoltato. Ed è un genere che non si evolve, nel quale tutto è già sentito. E in effetti, bazzicando nell’indie, qualcuno che ha anticipato qualcosa dei Kontinuum, lo troviamo. Ma tant’è.
I quattro islandesi, nel panorama metal, si presentano come una sorta di mosca bianca (o cigno nero, meglio) molto particolare e carica di personalità, tipo i nostri Klimt 1918 dei tempi d’oro. E lo fanno con un album che, al pari del primo, è estremamente raffinato, ben fatto, e pure parecchio ispirato.
Canzoni come la meravigliosa title-track e “Neuron”, per quanto debitrici della new wave, mettono in mostra una maturazione rispetto a “Kyrr” e col progredire degli ascolti si rivelano essere due piccole perle. Stesso discorso vale anche per le tre composizioni precedentemente citate. Ottima è anche la ottima opener “Shivers” e l’ipnotica “Two moons”, forse il miglior brano del lotto per quanto concerne la capacità di creare un ritornello meraviglioso senza bisogno di una melodia facile. Molto buono anche il singolo “Lifelust”, sebbene vada detto che è costruito sulla falsariga della meravigliosa “I Huldusal” e proprio per questo si rivela inferiore al primo singolo con cui gli islandesi si sono presentati al mondo.
Fermo restando che, come detto in precedenza, ci troviamo davanti a un sound abbastanza particolare particolare ma non nuovo né tantomeno innovativo, con “No need to reason” i Kontinuum sembrano farsi un po’ più dark e gotici e un po’ meno legati al post rock. Danno l’idea di aver fatto qualche buon passo in avanti rispetto a “Kyrr”. Soprattutto, danno l’idea di essere parecchio in forma e tirano fuori, ancora una volta, un gran bell’album. Ed è la cosa più importante.