Recensione: No Pain No Gain
Per i fan del suono vintage di stampo heavy rock.
Una definizione, una targa, una conclusione insindacabile.
Potrebbe essere sufficiente partire letteralmente da qui, dal fondo dell’analisi, per offrire una panoramica esaustiva di quanto proposto dai newcomers Bastardogs, nuova scoperta di quella inesauribile fucina di novità interessanti che prende il nome di Street Symphonies Records.
Già perché nel recentissimo “No Pain No Gain”, uscito poco prima delle feste appena trascorse, l’aria che si respira è proprio quella di un costante e compiaciuto revival degli anni ottanta, infarcito da suoni, stili e movenze che tutto possono essere definiti fuorché attuali e “contemporanei”.
Che la peculiarità di un approccio tanto antiquato possa essere definita sgradevole è, ad ogni modo, argomento tutto da dimostrare.
La convinzione del quartetto tricolore non lascia dubbi: l’idea che il singer Bonne ed i suoi compari hanno della musica rock è inequivocabile e manifesto. Una mistura di classici fatta di nomi che anche i sordi avranno sentito nominare qualche volta: Motörhead, Mötley Crüe, Twisted Sister e Wasp, con una spruzzatina di attualità ascrivibile a Crashdïet e Crazy Lixx.
Al di la di una dieresi comune a ben tre dei gruppi appena citati, ciò che lega le principali influenze tra loro è, in effetti, la schiettezza del modo di esprimersi, la vitalità e l’appartenenza ad una schiera di ruvidi esponenti caratteristici d’un modo di concepire la materia heavy, cui la band tricolore tende con assoluta sincerità, senza dissimulare le proprie aspirazioni attraverso alcun tipo di artificio o meccanismo innovativo.
Quaranta minuti di hard rock sporcato da impennate heavy che non hanno nulla a che vedere con il nuovo millennio, suonati con grinta e trasporto ed al riparo da qualsivoglia parentesi che trascenda la risoluta dimensione di stampo “live” che ne ammanta ogni solco.
Vuoi per il carattere volutamente demodé, vuoi per la produzione “secca” ed essenziale, procedendo con l’ascolto di “No Pain No Gain” l’impressione è davvero quella di aver piazzato nello stereo una vecchia reissue di qualche oscura band degli eighties.
Fascino persino romantico e gran bel divertimento – al netto di una sensazione d’inevitabile deja vu che scorrazza e si illumina ad ogni singolo accordo – sono le qualità migliori di un album fatto con la semplice e genuina volontà di suonare sano e virile sleaze-heavy-rock. Testi e titoli da fiera degli anni ottanta quali “Sex Machine”, “Last Night”, “Snakehead” e “Bite You Down” (Dee Snider ne andrebbe fierissimo!) compongono un quadro complessivo che nelle sgommate e nel coro di “Bad Dogs” ottiene il proprio picco massimo, definendo con simpatica goliardia lo spirito senza compromessi della band.
“We are the boys that you don’t trust, we are the boys that you fear most, we are the last of italian rejects, we are just four bad bastard dogs”.
Si diceva?
Per i fan del suono vintage di stampo heavy rock…
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