Recensione: Noises from the cat house
I Tygers of Pan Tang sono stati una delle band cardine del movimento della cosiddetta “New Wave of British Heavy Metal”, animatori della scena con albums storici come “Spellbound”, “Wild Cat” e “Crazy Nights”. Nel corso degli anni la band ha mantenuto fedeltà alle proprie origini metalliche, nonostante i cambi di formazione succedutisi al suo interno. Da un decennio ormai la band non è più la stessa degli esordi, per quanto riguarda la line up. Infatti della formazione originale è rimasto soltanto il chitarrista Robb Weir. Ma la caratura heavy del combo britannico non è venuta affatto meno, merito soprattutto del chitarrismo di Weir che si impone davvero come elemento fondamentale nella costruzione del particolare sound dei “Tygers”.
Oggi la band torna di nuovo “in pista” con un altro lavoro intitolato “Noises from the Cat house”. Quest’album, distribuito dalla Communique Records ed uscito ufficialmente a fine febbraio di quest’anno, regala all’ascoltatore un heavy metal potente (a tratti sconfinante nel thrash), oscuro (con frequenti riferimenti ad un certo doom), a tratti melodico ma trascinante e in alcuni episodi ispirato ad un buon hard rock. In sintesi quest’ultimo lavoro della storica band della NWOBHM risulta essere un album completo, ben arrangiato e prodotto forse anche meglio del precedente “Mystical”. Cominciamo l’analisi di “Noises from the cat house”, dunque, a partire dalla particolare immagine ritratta della front cover: una spoglia stanza, dipinta con i soli colori verde e giallo (quasi a dare un aspetto sinistro) dove si scorgono due ombre indefinibili nei contorni. Decisamente suggestiva.
Apre il disco la potente e cupa “Boomerang”, introdotta da un lieve e suadente tema per violino e pianoforte. Lo sviluppo successivo è giocato su un contrasto molto ben costruito tra parti arpeggiate (cupe e suggestive) e momenti di più diretto impatto, dove s’impone un riffing cattivo, fulminante e perfettamente sostenuto dalla sezione ritmica basso/batteria. La voce dell’ex Angel Witch Ritchie Wicks è ben impostata e trascina a dovere l’ascoltatore, soprattutto nel martellante refrain. Si prosegue con “Godspeak” ed è un riff quasi dissonante a colpire l’ascoltatore, supportato poi da una base ritmica cadenzata ma convincente. Il riffing di Weir è elaborato e delizia l’ascoltatore soprattutto nel refrain principale dove le tematiche tipicamente heavy si incontrano con il doom. Il risultato è veramente interessante. La successiva “Master of Illusion”, dimostra ancora una volta la capacità del combo di svolgere le trame melodiche lungo riffs cupi e potenti. Infatti il combo riesce a catturare l’ascoltatore con un accattivante riff d’apertura sul quale si innestano vocals ispirate di Wicks. Ben inseriti gli stacchi melodici che inframmezzano le parti di più roccioso impatto, articolando in maniera piacevole il brano. In chiusura interviene un assolo che dona una certa teatralità” all’affresco melodico del brano. “Highspeed Highway Superman” cambia decisamente atmosfera, concentrando l’attenzione dell’ascoltatore su ritmiche più sostenute e un riffing heavy-rock dinamico e accattivante, impreziosito da un buon assolo.
“The Spirit never dies” è una song costruita su un riffing quasi sofferto, arricchito dalle vocals ispirate di Wicks. Il drumming, in buona sintonia con il riffing di Weir (il quale ha modo di intervenire con un suggestivo solo), si amalgama perfettamente con questo tipo di armonie “sofferte”. Passando a “Cybernation” ci troviamo di fronte ad un’altra song giocata su tempi medi che sostengono una struttura melodica cupa ed introspettiva. Wicks sforza maggiormente la sua voce, quasi accentuando la drammaticità delle linee melodiche. Questa traccia in più di un passaggio richiama, in sostanza, a ben collaudate tematiche doom. Un suadente arpeggio fa da base fondamentale per la seguente track, “Deja Vu”. Qui Weir e soci stuzzicano l’ascoltatore con linee melodiche accattivanti e di facile presa, il tutto però declinato secondo classici cliché della collaudata tradizione NWOBHM. Passando a “Bad Bad Kitty” ci troviamo al primo brano che cambia decisamente linea melodica, portando la band ad esplorare sonorità tipicamente hard rock, strizzando l’occhio, quasi, alla tradizione americana del genere (potrei prendere ad esempio Montrose o i primi Van Halen).
Corregge il tiro “Running Man” che riprende i cliché tipici della NWOBHM (dando dimostrazione di una fedeltà al proprio sound mai completamente dimenticata) inframmezzandoli con intelligenti spunti hard rock.
Chiude l’album l’hard rock di “Three in a bed”. Questa track si distingue nettamente, come per quanto riguarda “Bad Bad Kitty”, dal resto delle altre songs, mettendo decisamente da parte tonalità heavy e cupe per lasciar spazio ad un songwriting frizzante e però diretto. La song in sé è piacevole, specie quando irrompre il bell’assolo, ma forse sarebbe stato meglio se la band l’avesse considerata come b’side e non come parte integrante del disco.
In conclusione questo “Noises from the cat house” è un buon disco, degno del moniker che porta in firma. Qui troverete una gamma di atmosfere e suoni che potranno accontentare sia gli amanti del metal vecchio stampo sia coloro i quali sono cresciuti ascoltando sonorità più recenti. Sia chiaro, questo lavoro non ha nessuna pretesa di inventare qualcosa di “nuovo” ma in ogni caso, a tal proposito, mi viene in mente un detto quanto mai appropriato per questo lavoro : “Botte vecchia fa sempre buon vino”.
Tracklist:
1. Boomerang
2. Godspeak
3. Master Of Illusion
4. Highway Speed Superman
5. The Spirit Never Dies
6. Cybernation
7. Déjà Vu
8. Bad Bad Kitty
9. Running Man
10. Three In A Bed
Line Up:
Richie Wicks vocals
Robb Weir guitars
Dean Robertson guitars
Brian West bass
Craig Ellis drums