Recensione: Non Auro Sed Ferro
Formati nel 2016, i Vltor si definiscono essenzialmente una Pagan Black metal band con un’impronta italiana e mediterranea, basato su tematiche che riguardano l’esaltazione del passato, la religione – e non solo – dell’Italia pagana romana. Il loro è un un percorso iniziato dall’EP “Odi” del 2019, giunto poi quest’anno al primo full length “Non Auro Sed Ferro“.
Una contestualizzazione
La scelta stilistica porta i Nostri a creare un black metal tagliente e combattivo nello spirito (affine ai Taake ) affiancandolo ad un tripudio di strumenti tradizionali a fiato, nonché a percussione. Un risultato spesso dissonante ed ipnotico, ma anche virtuoso e che conduce l’ascoltatore in varie zone del Mediterraneo, nonché ad esplorare altre aree. Per dire, “Taurobolio” sfoggia alcuni tratti nordici e, in tutto l’album, i svariati echi dei strumenti a fiato possono rimandare occasionalmente al mondo slavo e centro europeo. Insomma, luoghi colonizzati dagli Antichi Romani. I testi sono perlopiù in italiano con incursioni in latino per enfatizzare l’atmosfera arcaica e collegarsi al già citato popolo proveniente dall’Antica Roma.
La recensione di “Non Auro Sed Ferro”
Costituito da undici tracce di durata perlopiù medio-lunga, “Non Auro Sed Ferro” colpisce con quanto detto sopra, in un miscuglio tra istinto brutale e grande cultura di fondo. Un disco che scorre generalmente con buone soluzioni ed a volte, nella loro coerenza, si tende a perdere un po’il filo. L’azione combinata dei vari tipi di flauto è quella di trainare in modo speciale il comparto metal, come nel singolo “Fons Perennis” tra i pezzi migliori del disco per la sua epicità.
Altri picchi di “Non Auro Sed Ferro” sono “Coniuratio”, “Ad Bestias” e la title track, dove la prima coinvolge per l’asprezza ed il tiro epico scandito a tratti da percussioni marziali. “Ad Bestias” spiazza da subito sfoggiando melodie ed arrangiamenti degni dei sauditi Al-Namrood (mancava giusto il kanun) creando un brano contrastante eppure armonico, impreziosito da un inneggiante ” ad bestia !”
La furia e drammaticità della title-track incorniciano un paio di refrain che vedono protagonisti la batteria e le percussioni, geniali per l’ animo primitivo eppure raffinato.
Una menzione va fatta anche per “Evoé Bacche!” in quanto parte come un baccanale dedicato a Bacco/Dioniso, il dio dell’ebrezza e del vino ( Ciao Pollon) e, come quest’ultimo, il brano corre senza freni, “barcollando” a volte in sonorità, se vogliamo “wah wah”.
Il resto delle tracce sono tutte di livello più che valido ma le canzoni di cui sopra presentano complessivamente una struttura più memorabile. Il punto sottotono si può trovare in “Deus Silvarum”, tendenzialmente monocorde nel suo incedere e nella fusione degli strumenti.
Conclusione
Con “Non Auro Sed Ferro” i Vltor propongono essenzialmente un disco di validissima fattura tecnica e la composizione è più che buona, impreziosite da una qualità del suono potente eppure grezza. Un’opera che pone i Nostri tra i gruppi più promettenti della scena folk/pagan italiana e la possibilità di crescere ancora, musicalmente parlando. Facendo un paragone possono sovvenire i nostrani Imago Mortis, ma anche i Taake, inoltre l’uso abbondante dei strumenti a fiato può condurre a certe cose degli Arkona russi più folk e, ancor di più ai loro connazionali Grai. Un album da ascoltare per gli amanti del pagan/folk metal e per i fan mentalmente aperti del black metal.
Elisa “SoulMysteries” Tonini