Recensione: Nordkarpatenland
I Malokarpatan sono un caso unico nel panorama del metal estremo sia europeo che mondiale.
La formazione slovacca, già ai tempi dell’esordio “Stridžie dni” uscito nel 2015, aveva dalla sua un sound assolutamente unico che suonava un po’ come se i Venom si fossero trasferiti in Est Europa convertendosi al ruolo di menestrelli metallici del folklore locale: vero che son stati spinti molto da ‘Zio Fenriz’ dei Darkthrone durante le sue interviste rilasciate durante il periodo di rilascio dell’ultimo (a mio modesto parere non esaltante) “Arctic Thunder”, ma è anche vero che la formazione Est Europea aveva dalla sua un casino di frecce al proprio arco…insomma, il già citato Fenriz di musica ne ascolta veramente tanta e, se conclude ogni sua intervista consigliando l’ascolti di questi piccoli diavoli boschivi slovacchi, un motivo ci sarà.
Quel motivo, appunto si chiamava “Stridžie dni”: un esordio infarcito di black metal come solo negli anni ’80 lo si poteva intendere, quindi con quel suono sporco figlio di Hellhammer, Venom e primi Bathory però miscelato a delle pensantissime, già allora, influenze ed atmosfere tipicamente slovacche: i menestrelli in questione infatti, infarciscono il tutto con riff dal sapore folkloristico (senza per questo cadere mai nella facile tentazione del Folk Metal), arcano e quasi mistico, accentuando il tutto con una produzione molto riverberata, strumenti tradizionali e testi in lingua madre, con tanto di dialetto.
Inutile dire che i Malokarpatan son divenuti immediatamente, appunto come suggerito in apertura, un caso unico nel panorama metal di stampo europeo e le molte ristampe dell’esordio, sotto etichette diverse, lo confermano. Come effettivamente un gruppo in piena ascesa, “Nordkarpatenland” riprende le coordinate stilistiche di quel debutto folgorante e le rimiscela aggiungendo numerose sfumature quali alcuni momenti tipici dell’heavy metal/dello speed metal tipicamente ottantiano (ora dalla fortissima componente Motörheadiana, ora maggiormente di stampo NWOBHM), un uso ancora maggiore di passaggi in puro stile folkloristico/atmosferico e numerosi accenti tipici del rock progressivo d’annata.
Il risultato è un disco, e relativa band, dalla personalità ancora più forte e la cosa che davvero lascia di stucco l’ascoltatore, almeno considerando quello che segue la formazione sin dall’esordio ( – come il sottoscritto – Nda), è che il sound rimane ancora perfettamente riconoscibile: si sono solo delineati i contorni, accentuate le basi ed aggiunte sfumature consone a quella che è la loro natura di ensemble dal sapore folkloristico. I brani, tutti decisamente riusciti e dai titoli piuttosto lunghi (in quanto accennanti a storie, favole e leggende tipiche del folklore locale), sono a prima vista forse leggermente simili tra loro (esattamente come nel caso dell’esordio), ma più che nel recente passato ora hanno tutti un qualcosa che li contraddistingue, da alcuni accenni progressive (che a tratti mi hanno ricordato qualcosa dei Jethro Tull in chiave Est Europea) fino a veri e propri tripudi atmosferici.
“Nordkarpatenland” è un disco più da ascoltare che descrivere, in quanto figlio della sua terra che ci propone atmosfere e tradizioni radicate in questa da tempo immemore e riadattate ad un pubblico tipicamente metal senza mai perdere di vista le vena old school, anzi enfatizzandola (anche quando il suono viene spinto su territori al 100% metal la proposta non perde per nulla la sua vena mistica da antichi menestrelli delle foreste): non è chiaramente un disco per tutti date le parti vocali di puro stampo black (rigorosamente old school anni ’80 ribadiamo) e il suono dalle basi puramente estreme per come si poteva intendere questa definizione a livello sonoro circa 30 anni fa, ma ha dalla sua un fascino ed una miscela realmente ammaliante, che convince appieno sia per l’eccellente songwriting che per i grandiosi dettagli strumentali conferiti ad ogni pezzo. Quanto a questi ultimi, si va da alcuni bellissimi passaggi di basso, strumento che decisamente non si limita alle solite toniche ma che spesso accenna variazioni di una certa classe (tipiche del rock progressivo d’annata appunto) fino ad assoli di reale gusto melodico, nel senso di sempre funzionali allo spirito prettamente folk, a tratti puramente medievale, che anima l’opera.
Insomma, il consiglio qui è uno solo: ascoltateli.
Metallari provenienti da ogni frangia di questo universo borchiato, date loro una chance: in ogni caso questi menestrelli boschivi in gilet di toppe non vi lasceranno indifferenti!