Recensione: Norrøn Livskunst

Di Daniele Balestrieri - 6 Dicembre 2010 - 0:00
Norrøn Livskunst
Band: Solefald
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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85

Nonostante gli sforzi promozionali profusi dalla prontamente allestita Von Jakelln Inhuman, in molti considerano Black for Death l’ultimo album del duo norvegese più schizoide degli ultimi 10 anni e non certo per polemica, ma per genuina ignoranza: evidentemente quel Circular Drain tanto caro a Cornelius da essere presentato in anteprima al Circolo Scandinavo di Roma non ha avuto risposta di pubblico degna di nota ed è stato liquidato dalla maggior parte dei fan più devoti come l’album derivativo quale effettivamente è. Ma la nave dell’avanguardia progressista procede con il vento in poppa e il discorso interrotto dal doppio concept scaldico che tanto è stato celebrato tra il 2005 e il 2006 prosegue con questo Norrøn Livskunst, vero e proprio prolungamento di un organismo tentacolare che fin da Linear Scaffold presenta un continuo alternarsi di sperimentazione, aggressività, umorismo e cinismo disilluso, il tutto mischiato da una buona dose di pathos epico norreno… with a twist.

Rifugio solido e sicuro tra le già collaudatissime pareti del black di estrazione vichinga? Tutt’altro: la passione di Cornelius e Lazare per la cultura norrena, o meglio, per l'”arte norrena del vivere” si sviluppa in modi sempre nuovi e convoluti, andando a toccare stringhe ai confini opposti di molti dei generi proposti, siano essi hard rock, jazz, folk o black feroce, quest’ultimo presente in dosi abbastanza massicce da definire Norrøn Livskunst come l’album potenzialmente più pesante dei Solefald non solo dal punto di vista musicale, ma anche da quello culturale, sociale e ideologico: nelle tracce più ispirate come l’oceanica “Waves over Valhalla“, non a caso sottotitolata “An Icelandic Odyssey part 3”, si accende di nuovo la vis nordica più prosopopeica dei primi due album, con un tocco di malinconia generata da quelle “Norne che intessono il codice della vita” che hanno portato alla “distruzione dei nove mondi”. Il riferimento all’epoca moderna che ha visto l’annullamento di quel fervore di riscoperta delle radici norrene che imperversò nella Norvegia in fasce dei primi del ‘900 viene più volte sussurrato ora per iperboli figurate e ora tramite strumenti musicali tradizionali e forme grammaticali volutamente autoctone come nell’intensa “Song til Stormen“, cantata in una lingua che al tempo dell’indipendenza norvegese era vista come rivoluzionaria e polemica nel suo irriverente distanziamento dagli archetipi imperialisti danesi.

Stanti tali premesse, ci si aspetterebbe di trovarsi di fronte a una terza dichiarazione di intenti epica, oppressiva e un filo languida come i due album passati: niente di più lontano dalla realtà. L’inclusione di una certa Agnete Kjølsrud, già nota ai rocker norvegesi per essere stata parte degli Animal Alpha, ha donato una vena di vibrante follia all’intero lavoro. Non passa inosservata infatti l’isterica “Tittentattenteksti” bizzarra oltre ogni limite a causa dello schizofrenico nonsense del testo urlato in modo caotico e disarticolato, e ha certamente alzato ben più di un sopracciglio quella “Vitets Vidd i Verdi” già presentata in anteprima sul myspace del gruppo e vero e proprio kolossal musicale in cui si intrecciano spasmodici cori epici, riff da grattugia black metal, scream, pulito, similgrowl e l’ormai patentata crisi isterica di donna Kjølsrud. Non mancano anche tracce più ragionate come la reazionaria “Eukalyptustreet“, la più lunga dell’album, oppure tracce che corrono sul filo del parodistico come “Stridsljod / Blackabilly“, il cui inizio sembra uscito direttamente dalle cantine dei Trollfest. Difficile definire a volte se la crociata contro il consumismo e il modernismo sia effettivamente ironica o seria, così come è difficilissimo inquadrare in categorie specifiche certi brani come l’esageratamente violenta e melodrammatica “Hugferdi“, già passata alla storia per figurare il primo assolo di chitarra della storia del combo norvegese.

Il punto è che ci troviamo ancora una volta di fronte a un lavoro di varietà folgorante e struggente, ricco di passione, attenzione maniacale ai dettagli e immerso in una nube di ironia impossibile da delimitare a parole. Un album violento, ragionato, folle e pieno di sfaccettature che a tratti è imbarazzante sentire in pubblico e a tratti talmente intelligente e geniale da sentire il bisogno di parlarne con qualcuno. È la reiterata magia targata Solefald, esclusivamente per ascoltatori di larghe vedute che hanno macinato per anni le espressioni più progressiste del metal, rock, jazz e chi più ne ha più ne metta. Consigliatissimo.

Daniele “Fenrir” Balestrieri

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TRACKLIST:

01. Song Til Stormen
02. Norrøn Livskunst
03. Tittentattenteksti
04. Stridsljod, (Blackabilly)
05. Eukalyptustreet
06. Raudedauden
07. Vitets Vidd I Verdi
08. Haugferdi
09. Waves Over Vallhalla (An Icelandic Odyssey Part 3)
10. Til Heimen Yver Havet

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