Recensione: Northland III
Difficilmente capita di restare spiazzati come nel caso di Northland III, il terzo capitolo della personale saga del polistrumentista cinese Dryad Tassi. La sua creazione, introdotta con il primo episodio nel vicino 2021, narra di un viaggio spirituale che trascende anima e corpo attraverso un percorso onirico che pervade un misticismo compositivo perfettamente incarnato da uno stile sostanzialmente impossibile da catalogare. Proprio per questo motivo si rimane altrettanto incapaci di valutare – e forse anche comprendere – un lavoro così intimo che mette l’ascoltatore al centro di un vortice di emozioni di circa 60 minuti, sballottandolo in strazianti urla di agonia l’attimo prima, per poi trasformare completamente l’atmosfera con suoni delicati e lunghi intermezzi che ci gettano nel vuoto cosmico, dove ogni pensiero assume una forma differente rispetto al solito.
Northland III è sia complicato da assimilare che da comprendere. È uno di quei dischi che vanno ascoltati più e più volte, cercando di immedesimarsi in quel viaggiatore che come destinazione ha probabilmente un piano astrale fatto di mille altri mondi, dove il bardo Tassi ritorna da dove tutto ebbe inizio (quando nei due capitoli precedenti intraprese la ricerca della sua amata Uni) e si trova ai piedi del Monte Pulaka, osservando le stelle e lasciandosi accarezzare dalla brezza marina. Musicalmente parlando, Northland III viene inserito in quel panorama Post-Black Metal contaminato da una miriade di altri sottogeneri, ma alla resa dei conti finale, lo sforzo introspettivo dell’autore e unico strumentista soffre un dilungarsi forzato e che finisce per perdere il contatto con l’ascoltatore, lasciato solo nel buio di un album troppo personale per essere apprezzato a pieno da buona parte degli ascoltatori là fuori. Se fate parte di quella cerchia che non attendeva altro che un rompicapo musicale diviso su più capitoli, il nuovo lavoro di Tassi è senza dubbio una bella sfida. In caso contrario, non sentitevi in colpa se preferirete skippare verso qualcosa di più lineare.