Recensione: Northwinds

Di Filippo Benedetto - 10 Marzo 2004 - 0:00
Northwinds
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Anno: 1978
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78

Dopo lo scioglimento dei Deep Purple (per gli insanabili contrasti all’interno del combo) David Coverdale si cimentò nella carriera solista affiancando al proprio nome il monicker “Whitesnake”, progetto nel quale ebbe modo di esprimere tutto il suo talento vocale e il suo amore incondizionato per un hard rock fortemente innervato di blues. I primi dischi non possono essere considerati tout court come dischi del “serpente bianco”, dato che le line up che vi si avvicendavano variavano a seconda del disco. Il progetto, in ogni caso, si rafforzò album dopo album, grazie soprattutto alla supervisione di Roger Glover che, in veste di produttore, seppe mettere al servizio di Coverdale una schiera di musicisti di gran valore fin dai primi passi della carriera solista del famoso cantante.  Il disco che qui recensiamo, purtroppo, non è molto conosciuto dai più e merita considerazione perché mostra una sfaccettatura particolare della personalità di Coverdale che qui dà notevole sfoggio di carica intimista, amore per il blues e anche un debito nei confronti della band che lo ha reso famoso, i Deep Purple appunto.

“Keep on giving me love” apre il disco. Il brano si sviluppa tempi medi ed si regge su un riff bluesy molto accattivante. Già in questo primo pezzo si nota il fondamentale apporto, in sede di arrangiamenti, dell’hammond che, supportando le chitarre, conferisce una certa corposità al sound complessivo della song. Il bel refrain, diretto ed efficace (nel quale si distingue il bravo Coverdale), viene verso la fine del brano seguito, poi, da un “crescendo” coinvolgente nel quale ogni strumento, batteria compresa, sfoggia un’ottima tecnica.
Con la title track, “Northwinds”, Coverdale dà pieno sfoggio delle sue doti vocali oltre che di interprete. Questo brano è un piuttosto riuscito momento di distensione melodica, dove grande spazio trovano le armonizzazioni per hammond (ore di Brian Johnson) e un discreto lavoro negli arrangiamenti delle chitarre. Il pezzo si sviluppo secondo canoni che non trascurano le radici blues e soul del famoso cantante, lasciandosi piacevolmente ascoltare. La successiva “Give me kindness” mostra con maggior evidenza la volontà di Coverdale di esplorare le proprie radici musicali, questa volta unendo la malinconia blues con la leggerezza del gospel. Da notare che il tutto è arrangiato con molta classe, soprattutto nel bel refrain finale nel quale, tra le guest  vocals, possiamo udire (anche se impercettibilmente) la voce dell’allora giovane Ronnie James Dio e consorte.
La successiva “Time and again” è una delicata e malinconica song dove, di nuovo, è l’hammond a farsi notare. I suoni caldi di questo strumento creano un’atmosfera molto suggestiva e la voce di Coverdale da un tocco di classe al tutto rendendo la track una delle perle del disco. Le discrete incursioni armoniche sorreggono, opportunamente, poi, la struttura del brano che scorre piacevolmente fino a conclusione. Un giro di pianoforte ci introduce a “Queen of the hearts” track dove si può notare un certo gusto per arrangiamenti che risaltano una certa “teatralità”. Infatti la song si sviluppa lungo toni quasi drammatici e il sound, nel suo complesso, trova il punto d’equilibrio tra blues e discrete divagazioni soul.  
“Only my soul” riprende, in maniera discreta, certe atmosfere tipiche di un grande amore del famoso cantante, i Led Zeppelin (se si ascolta bene alcuni passaggi ricalcano la  famosa “Stairway to heaven”). L’arpeggio acustico è pregevole e le vocals di Coverdale sono molto suggestive. La struttura del pezzo, nella parte centrale, si sviluppa poi irrigidendo il tema centrale, assumendo i toni drammatici del refrain principale.
La settima track, “Say you love me”, viene introdotta dal duo voce e pianoforte per poi lasciare che il resto degli strumenti, in maniera soffusa, si aggiungano. La song si sviluppa in un crescendo, opera anche di cori molto sofferti e coinvolgenti, inframmezzati da brevi incursioni di un sensuale sax tenore. Al culmine della tensione melodica del brano, irrompe un bell’assolo che impreziosisce il tutto.
La conclusiva “Breakdown” è la song più in linea con lo stile della band di cui Coverdale ha fatto parte, i Deep Purple. Qui è possibile ravvisare chiaramente la matrice hard rock e certi accorgimenti tecnico strumentali tipici del marchio di fabbrica purpleiano. Da notare, inoltre, il testo di questa canzone che tratta, con accenti amari, degli ultime fasi prima dello scioglimento dei Deep Purple. Il risultato complessivo è molto convincente e può essere considerato il primo, embrionale, segno di uno stile hard rock che diventerà poi, negli anni a seguire, sempre più personale e tipico degli Whitesnake.
In conclusione penso che questo “Northwinds” sia un album che segna un livello compositivo decisamente più maturo rispetto all’omonimo debut, essendo ricco di molte influenze stilistiche al suo interno. Confesso che questo album necessita di più di un ascolto per essere apprezzato e capito nella sua interezza, ma  che alla fine non può non conquistare il cuore di ogni buon rocker. 

Tracklist:

1)Keep On Giving Me Love
2)Northwinds
3)Give Me Kindness
4)Time And Again
5)Queen Of Hearts
6)Only My Soul
7)Say You Love Me
8)Breakdown

Produced by Roger Glover

Line Up:
David Coverdale – lead vocal
Mick Moody – guitars
Bernie Marsden – guitars
Neil Murray – bass
Brian Johnson – keyboards
David Dowle – drums

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