Recensione: Not For Music
Gli Emptiness scavano nel profondo della paura, nel buio che ognuno di noi conserva in fondo all’anima per scovare emozioni e convertirle in trame musicali da incastonare sul prezioso velluto nero della notte.
La band belga è giunta al quinto full-length della sua quasi ventennale carriera che l’ha vista evolversi e sperimentare fino a raggiungere sonorità atipiche di fattura indubbiamente pregevole. Dopo aver registrato il disco ai Blackout Studio, i ragazzi ricevono una proposta da Jeordie White alias Twiggy Ramirez (Marilyn Manson, A Perfect Circle, Nine Inch Nails) per migliorarne la produzione. Grati di tutto ciò gli Emptiness accettano l’invito a Los Angeles dove sfruttano l’occasione di lavorare anche col musicista e produttore Sean Beaven (GunsN’Roses, NIN, Slayer) nella fase finale di missaggio e masterizzazione.
“Not for Music” è paragonabile ad un’immersione nell’infinità degli abissi senza bombole d’ossigeno: un’apnea accarezzata da suoni oscuri nei quali vengono iniettati elementi di elettronica e seducenti sospiri ambient che propagano onde di inquietudine, stimolando la mente.
Le sette tracce si lasciano alle spalle le luci del tramonto intraprendendo un lungo cammino verso le tenebre. Un sentiero sul quale germogliano atmosfere regali, echeggiano chitarre e pulsano sintetizzatori a favore di un sound oscuro e malefico che, via via, si fa sempre più trascinante.
La dimostrazione di tutto ciò sta nel singolo ‘Let It Fall’, in cui i Nostri trasmettono la percezione del nulla all’interno di un limbo dove l’indomita confusione viene sedata e plasmata artisticamente in bucolica melodia. La voce di Phorgath (Jeremie Bezier) appare metaforicamente come una creatura misteriosa che nuota sinuosamente sottopelle: i sussurri abrasivi, contrapposti a toni profondi e conturbanti lacerano i tessuti tramutando il dolore in brividi di piacere.
Il disco, tetro e crudele, è dipinto su scala di grigi con diverse sfumature sonore che richiamano l’industrial, lo shoegaze, il gothic, sino ad arrivare a ‘Digging the Sky’, dove la band oltrepassa i confini sperduti della psichedelia evocando gli antenati dei Pink Floyd.
“Not for Music” è un album che al primo impatto potrebbe trarre in inganno per il suo rumore alieno e il carattere introverso, ma va addomesticato per comprendere a pieno la genialità che avvolge le radici di questa orchidea nera dalla quale si vorrebbe soltanto farsi ingoiare.
Il black metal ha una nuova dimensione. Non resta che perdersi in questo vuoto cosmico. Senza alcun rimorso.
Daniele Ruggero