Recensione: Nothing But Trouble
Gli Houston sono tra i più valorosi giovani virgulti dell’AOR mondiale. Scandinavi, hanno dimostrato di saper emergere tra quei giovani artisti in grado di dare nuova linfa al lato più soft e melodioso del rock adulto. Tanto, grazie a tre full-length scintillanti e un paio di gradevoli EP.
Il loro cantante e leader Hank Erix, si propone in questi giorni anche con un proprio lavoro solista, che vede, peraltro, la partecipazione di molti membri degli stessi Houston, ma che è stato realizzato anche “con un piccolo grande aiuto degli (altri) amici” di band come Palace, Therion, Degreed, Wildness, Art Nation, Kryptonite, Gutterdämerung e Adrenaline Rush.
Il top del rock scandinavo, insomma!
L’immagine di copertina, con Erix in sella ad una potente motocicletta, farebbe pensare ad una svolta o ad una apertura maggiormente hard e rock’n’roll rispetto al sound patinato degli Houston, ma così non è. A dimostrazione, difatti, che il frutto non cade mai troppo lontano dall’albero, in “Nothing But Trouble” (questo il titolo dell’album) non siamo lontani dalla band madre e dal suo AOR devoto al versante più melodico di maestri incontrastati del genere come Journey, Toto, Boston, Chicago e, perché no, certi America “ottantiani”.
Certo, qui siamo alle prese anche con un’ Electricity che s’apre all’AOR più tirato e duro (ma sempre melodico e corale) nella quale la chitarra di Michael Palace imperversa eccellentemente in tempestosi assoli, e con una Turn To Darkness arrembante, veloce ed ingemmata da assoli avvincenti della sei corde (sempre di Palace) e dall’ottima interpretazione vocale del titolare del CD. Pure Affair Of The Heart è un uptempo più hard in cui brillano il duetto con la voce femminile di Linnea Vikström e le turbolente note dell’axeman ospite Alexander Hagman. Siamo dalle parti, insomma, del sound molto ottantiano dei Toto o dei Foreigner più di successo, come, peraltro, avviene anche in Freak, che però è più armoniosa e presenta un lavoro di chitarra raffinato ed elegante.
La maggior parte del disco, però, come si diceva in apertura, è votata al più puro, soffice e cristallino melodic rock. Fortune Hunter, ad esempio, è un midtempo orecchiabile e lineare dal chorus acchiappante come pochi. Last Chance To Love, poi, è intarsiata da raffinati tocchi di tastiere e chitarra che guidano l’incedere di un uptempo melodico ed evocativo. In Giving Up On Love sono le tastiere raffinate di Micke Jansson a fare da pilastri di un brano i soft-rock di alta classe, corroborato da una esplosione melodica nel ritornello vicina a certo rock contemporaneo. Shadowdance, infine, malgrado i suoi muri di chitarre più hard, è comunque un midtempo armonico e carico di un mood nostalgico.
Una menzione a parte merita, in conclusione, For The Restless & The Young, affascinante ballata roots condotta da chitarra acustica e voce.
“Nothing But Trouble”, in definitiva, è un lavoro in cui la voce limpida e “classica” (senza gli sconfinamenti in certe tipiche impostazioni “urlate” di molti vocalist di oggi) di Hank Erix si dimostra perfettamente incastonata in un suono contrassegnato da tastiere e, in particolare, dalle chitarre limpide e vivaci. L’album esprime grande grinta (ma mai un’oncia di cattiveria!) nonché qualche concezione in più, rispetto ai dischi degli Houston, al suono svedese moderno (come dire: meno U.S.A. e più Scandinavia, da queste parti) e, soprattutto, classe ed eleganza da vendere.
Francesco Maraglino