Recensione: Nous sommes d’hier
Squillino le trombe per il quarto capitolo della saga dei nuovi monarchi del black metal più epico.
I Sühnopfer, progetto francese formatosi nel 2001, ormai da anni rappresentano una vera e propria garanzia di qualità per chi campa con band del calibro di Batushka, Sarpanitum, Vehemence, gli ultimi Seth e gli incredibili Havukruunu.
Provenienti da una delle regioni più remote del centro Francia, come i loro vicini Aorlhac, le tematiche del gruppo non si rifanno ai freddi boschi o all’esoterismo nudo e crudo, nonostante l’anticristianità non sia mai messa in dubbio, ma a tematiche che si sposano perfettamente con l’epic black metal, ovvero il medioevo, più precisamente in questo caso la dinastia borbonica.
Già dal primo album il progetto Sühnopfer arriva come un fulmine a ciel sereno esordendo con l’ottimo Nos Sombres Chapelles (2010) che, a dispetto di una copertina abbastanza indifferente, sfodera già le caratteristiche per cui il gruppo otterrà credito: un’ottima scrittura dei riff e delle melodie, un livello di tecnicismo che si sognano la maggior parte dei gruppi black e un’aura di epicità che si insidia nell’ascoltatore e che risulta semplicemente irresistibile.
Adraos però non si accontenta e alza l’asticella con i due lavori successivi.
Offertoire (2014) è un vero capolavoro del genere, basti ascoltare la traccia di apertura Introit-Saints Mysteres per togliere ogni dubbio che questo disco rientri in suddetta categoria.
Il terzo lavoro invece porta la tematica principale del gruppo direttamente nel nome, ovvero Hic Regnant Borbonii Manes (2019), che letteralmente significa “Qui regnano i fantasmi dei borboni”. Da questo titolo già si può intuire tutto quello che i Sühnopfer propongono e ripropongono del sound che li ha resi celebri in una nuova veste che riesce a rendere tutto ancora più esaltante.
Ma nel 2023, passati i consueti 4/5 anni, il nostro beniamino francese torna in pompa magna per il secondo disco del gruppo sotto la Debemur Morti Productions con l’album più lungo e ambizioso dell’intera carriera del gruppo: Nous Sommes D’Hier ,“Noi Siamo D’Ieri”.
Con questo titolo la band rimarca ancora una volta quanto la loro realtà musicale non sia popolata di esseri del nostro tempo ma dai ricordi, dai fantasmi di un’era ormai passata che vive ancora oggi nelle sale, nelle costruzioni, nelle catacombe e ovviamente, nella musica dei Sühnopfer.
Nous Sommes D’Hier è esattamente questo, un disco che ti trascina in un’epoca medievale fatta di regnanti, di battaglie, di opulenza, di rimpianti e di illusioni.
Le caratteristiche del gruppo vengono rispettate e mai tradite in questo viaggio di più di 55 minuti, ma se nel disco precedente, per quanto maestoso, il sound non era cambiato in maniera così marcata, a parte una produzione decisamente migliore rispetto a Offertoire, in questo nuovo lavoro il gruppo vuole puntare ancora più in alto, non inserendo nuovi elementi, ma migliorando drasticamente la qualità di quelli già presenti.
La voce è mixata meglio, accompagnata ancora più frequentemente da clean vocals e cori riuscendo a esprimere epicità senza mai sfociare in un sound zuccheroso o ruffiano.
Il male c’è e si sente tutto, si respira un’aria nebbiosa, fredda e malinconica, presente durante tutto l’ascolto donando al fruitore una sensazione di epicità grazie alle melodie, al chaos e alle continue soluzioni dei Sühnopfer, accompagnate da un vago senso di tristezza che fa di Nous Sommes D’hier un album tutto fuorché monoespressivo.
Il lavoro di ritmica è sorprendentemente curato per essere un disco black metal, non si ferma all’essere una semplice fabbrica di blast beat nonostante questa sia la sua forma principe, ma qui più che mai nella carriera dei Sühnopfer si coglie l’enfasi nelle parti anche un po’ più rallentate, sempre rimanendo nel contesto di una band che fa della velocità uno dei suoi marchi di fabbrica.
Se già quanto accennato in precedenza basterebbe a Nous Sommes D’Hier per ottenere la sufficienza piena in pagella, per arrivare alla lode manca l’elemento fondamentale, la punta di diamante, il fiore all’occhiello del progetto francese: il magnifico guitar work.
Più volte la band è già riuscita a dimostrare di poter dare merda a livello chitarristico alla maggior parte dei gruppi facenti parte della loro scena, ma in quest’album non si sono messi freni.
Una freschezza nelle composizioni che riesce a non far stancare mai l’ascoltatore, armonizzazioni demoniache epiche che richiamano i migliori Emperor, una furia degna dei Necrophobic, senza mai perdere quel senso di melodia generale che ricorda i già citati Batushka e Havukruunu.
Quest’amalgama perfetta di sound splende in quest’ultimo lavoro, portando la vera summa del sound sühnopferiano ai massimi livelli.
Le canzoni sono tutte degne di nota e nessuna di esse è sacrificabile, nemmeno la cover finale di Le Bal Des Laze di Michel Polnareff, che ai più puristi potrebbe far storcere il naso, ma che nel contesto del gruppo si colloca perfettamente: l’immaginario è coerente e ridurla ad una banale mossa di marketing denoterebbe una totale superficialità.
Ogni passo mosso in questo bestione di quasi un’ora non risulterà impegnativo ma anzi, coinvolgerà, stupirà l’ascoltatore dal primo all’ultimo secondo.
Già dalla opener D.S.F.R. siamo certi che qualcuno potrebbe esclamare: “Peccato ci siano solo altre 6 tracce!”
Medioevo, black metal, epicità e malignità coesistono in quest’album come se fossero elementi nati per stare insieme.
Se i borboni potessero ascoltare da un altro piano dell’esistenza la band, la apprezzerebbero o la odierebbero a morte? Non lo sapremo mai. Per quanto riguarda noi, accogliamo Adraos con grida di giubilo e calici d’oro ricolmi nel più freddo ossario di corte.