Recensione: Novem Reges
Nell’immenso panorama delle produzioni artistiche dei più differenti ambiti, si assiste, ormai sempre più ripetutamente, a titoli che lasciano l’opera sospesa in un limbo di mistero che mai sarà svelato, purtroppo, dalla fruizione dell’opera stessa. Il titolo del nuovo lavoro di Paolo Sanna si inserisce a pieno titolo nella considerazione fatta in quanto “I nove re” (Novem Reges in latino), dall’ascolto dei brani dell’album, non vengono svelati (o spiegati) o quanto meno non viene svelata l’intuizione dell’autore. Sarebbe stato opportuno quindi accompagnare l’album con una descrizione, per evitare che le intenzioni rimanessero relegate nella recinzione mentale del chitarrista veneto.
Le influenze che emergono dall’ascolto del disco sono le solite, come spesso accade per quei lavori musicali di stampo chitarristico che tendono a mettere in evidenza i virtuosismi delle sei corde. Per tal motivo si preferisce evitare di nominare i soliti nomi, anche se Sanna, con un tenace lavoro musicale, tenta di dare una spallata ai tecnicismi autoreferenziali per aprire un varco alla creatività. Ne consegue un lavoro che si tiene in piedi con dei brani senza pretese, ma piacevoli, con delle belle melodie che talvolta scorrono in maniera lineare e senza grossi sussulti. Dalle note traspare una certa “umanità” che sicuramente deriva, in un momento storico in cui si tende “a fare musica” con software e diavolerie simili, dall’aver suonato realmente le tracce dell’album, affidandosi a un batterista (Alexander Puntel) e a un bassista (Nick Munaretti). Questo depone a favore delle buone intenzioni e della bella logica di Sanna.
Purtroppo Novem Reges ha una breve durata che non permette di comprendere totalmente le velleità dell’autore, che non consente di apprezzare fino in fondo la logica e lo sviluppo dell’album; questo appare purtroppo un limite unito alla caratteristica ripetizione un po’ troppo lunga di alcuni passaggi.
Ascoltando i brani, l’intro lascia ben sperare, un’atmosfera surreale con un bel groove e un riffing semplice, ma piacevole. Con Silent Bells tutto si infittisce, a un arpeggio iniziale seguono delle lead guitars ben poco ispirate e di sicuro poco originali. Il fraseggio risulta pesante ed è la sezione ritmica che “salva” il tutto. Questo è un piccolo difetto che si presenterà spesso all’interno di questo lavoro. Hurry Up contiene un bel riff iniziale, ma il canto chitarristico che vi si sovrappone, privo di respiri, non impreziosisce affatto il guitar work, anzi…
Ciò che contraddistingue questo Novem Reges è un carattere quasi adolescenziale, la semplicità, l’immediatezza nel lavoro chitarristico quanto mai sobrio, lontano dagli stereotipi di album macina scale e arpeggi. Le melodie sono nella maggior parte dei casi sempre dilatate, forse a voler ricreare le atmosfere di un must come Melodica (album di Neil Zaza del 2004) purtroppo senza troppi colpi in canna.
Surfing a Dream non fa eccezione, intro arpeggiato e tema in mid tempo con scale messe un po’ qua e un po’ là senza una ricerca ben precisa o uno stile comunicativo ben definito. Le modulazioni creano qualche aspettativa nell’ascoltatore, ma di base siamo di fronte ad un brano privo di ispirazione seppur ben confezionato.
Uppsala Hills contiene una delle introduzioni più interessanti dell’intero EP, senza dubbio d’effetto e molto coinvolgente. I temi si perdono all’interno di una song che col temo risulta frastagliata a poco coerente, così come il finale. Da premiare senza dubbio la tenacia.