Recensione: Novum Initium
“Per Aspera ad Astra”: attraverso le asperità alle stelle. Queste le parole e le note che ci proiettano verso il “Novum Initium” dei Masterplan in questo 2013 decisamente all’insegna del power metal. “Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?”, direbbe qualcuno, alludendo a tutto questo latino dietro al quale i Masterplan non nascondono una qualche ricerca spasmodica, anche linguistica, per sottolineare in maniera un po’ erudita il cammino aspro e duro che ha portato la band a questo… reboot.
Un percorso non facile per la band nata da una costola degli Helloween, considerati i rapporti intermittenti con lo storico singer Jørn Lande, già fuori ai tempi di un claudicante “MK II” (2007), sostituito dall’ex-Riot Mike DiMeo; di nuovo protagonista nel successivo “Time to Be King” (2010) ed ora definitivamente (?) fuori, impegnato nella sua carriera solista con il progetto Jorn, uscito neanche a farlo apposta tre giorni prima di questo “Novum Initum” con il suo “Traveller” (2013). Secondo quanto recentemente dichiarato dal fondatore ed unico “superstite” della formazione originale Roland Grapow, Jørn non aveva mai sentito i Masterplan come la sua band principale, decisamente più interessato al suo progetto solista – pertanto dopo l’ennesimo divorzio artistico il microfono è finito in mano all’ex-At Vance Rick Altzi.
Ma questo disco è un “Novum Initium” anche per la sezione ritmica: “esordiscono” (le virgolette sono d’obbligo) anche il bassista ex-Stratovarius ed ex-Kotipelto Jari Kainulainen ed il batterista “Marthus” Skaroupka dei Cradle of Filth. Una formazione stellare, insomma, per un album che già dalla cover volge lo sguardo all’empireo lucente.
La semplice e diretta intro orchestrale viene infranta immantinente dall’attacco di batteria e chitarre quasi famelico, smanioso di azzannare l’ascoltatore dopo un lungo periodo di digiuno; poco tempo di asperità per un rapido e deciso decollo verso gli astri come nemmeno alla NASA. Istante di silenzio ed il gioco ha inzio: “The Game” è un pezzo veloce, tirato e ci presenta un Altzi sporco e cattivo al punto giusto, con un songwriting bilanciato tra riff e drumming a velocità da Super Speedway, melodia e durezza. Non proprio memorabili invece le liriche.
Primo singolo dell’album, il triste e malinconico mid tempo “Keep Your Dream Alive” fa leva sulla melodia delle tastiere e su un ritornello che non sembra mai decollare del tutto, quasi una nenia. A mio modesto avviso come singolo si poteva pescare di meglio tra il materiale quivi proposto.
Raddrizza subito il tiro la più veloce “Black Night of Magic”, seguita da un’anonima “Betrayal” aperta e chiusa da melodie orientaleggianti giusto per rendere l’ascolto più saporito. Nessuna via di fuga con “No Escape”, tra hard rock e prog con linee vocali ben interpretate ed un assolo virtuoso. Ritornello facilmente identificabile “con stacco” e riffing serrato durante la strofa per “Pray on my Soul”, che non si fa mancare nulla con un breve intermezzo d’atmosfera prima del chorus finale.
“Earth is going down” rallenta di nuovo il tempo senza raggiungere particolari risultati, forse complice la produzione che spesso, anche in altre tracks, finisce per seppellire la voce di Altzi dietro le chitarre di Grapow. Non è un caso che l’album sia prodotto e mixato da quest’ultimo, ai Grapow Studios, nella Repubblica Slovacca.
Finalmente un brano dall’alto coefficiente di epicità – non solo per le tematiche trattate dal testo – “Return to Avalon”, caratterizzata da un chorus potente, un buon lavoro delle tastiere ed un assolo neoclassico degno di questo nome. Peccato che arrivi soltanto ora, alla nona posizione.
Finalmente un lento, la tastierosissima ballad “Through your Eyes”, spezzata a più riprese dai virtuosismi al riverbero di Grapow. Conclude l’imponente title-track “Novum Initium”, una vera e propria suite da dieci minuti; l’atmosfera è quella giusta fino alla chiusura. Anche Grapow si palesa al microfono. L’effetto complessivo è decisamente teatrale; manca il ritornello devastante che avrebbe lasciato tutt’altro sapore al termine dell’ascolto, ma il lavoro si fa apprezzare da sé anche soltanto per la cura, per la pulizia, per la tecnica, per l’interpretazione e per la maestria dell’esecuzione tra heavy, power e prog.
“Novum Initium” è un po’ la classica dimostrazione che il “dream team” non vince quasi mai. O almeno, che anche la squadra composta da grandi nomi, prima di raggiungere le stelle, deve attraversare alcune difficoltà come il novellino qualunque. L’album in analisi rappresenta infatti qualche passo avanti rispetto alle due ultime uscite della band; gli arrangiamenti sono notevoli e la qualità tecnica come prevedibile da copione non può essere messa in discussione. Manca tuttavia quella scintilla, quella lucentezza che è propria delle stelle. Una certa sensazione di freddo si insinua durante l’ascolto, e non credo che la colpa sia da imputare al vuoto lasciato da Jørn Lande. Il lavoro di Rick Altzi è infatti notevole, ed il suo timbro sporco e graffiante non si discosta molto da quello del collega norvegese. La melodia c’è ma l’eufonia va e viene. Il carisma dei brani è discreto, senza particolari picchi. La band non inventa nulla di nuovo, le melodie tipicamente power che hanno reso celebri i Masterplan permangono, anche se l’epicità del debut è ancora lontana, sostituita nelle atmosfere, nel bene e nel male, da un senso di tristezza e malinconia quasi imperante.
Questo “Novum Initium”, insomma, si propone come un album 100% Masterplan, come un nuovo inizio più per quanto riguarda la lineup che per la musica tout court; un album musicalmente ineccepibile, ben suonato e ben arrangiato, ma che non colpisce nel segno come dovrebbe; forse un po’ per la freddezza, forse per la prevedibilità di alcune soluzioni, forse perché la “nova” band non è ancora rodata a dovere.
Abbiamo tuttavia svariate ragioni per sperare in una rapida ripresa, considerata anche la crescita di questi Masterplan rispetto alle ultime incarnazioni degli anni passati; il tour europeo che inizierà a breve e giungerà a Milano il 15 ottobre dovrà concludersi con una band più unita ed affiatata che mai (e non ci vuol molto per fare di meglio, visti i trascorsi), per uscire con un lavoro ancora più Masterplan ed ancora più incisivo di questo discreto nuovo inizio. Insomma, come ci hanno insegnato proprio loro alcuni anni fa: “The spirit never die”.
Luca “Montsteen” Montini
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