Recensione: Novum Testamentum: Evangelium Morti

Di Giuseppe Casafina - 4 Ottobre 2016 - 15:04
Novum Testamentum: Evangelium Morti
Band: Nahemoth
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2013
Nazione:
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85

Secoli di storia dell’arte ci hanno insegnato che vi possono esistere opere tante meravigliose quanto ignote.

 

Basterebbe anche solo andare oltre la fitta coltre di polvere per scoprire una sapienza nascosta, progressivamente, dal continuo passaggio delle epoche: man mano che il tempo passa infatti, il numero di tali opere aumenta, condannandole ad una lunga, e forse eterna, permanenza nel limbo della conoscenza.

Per fortuna nel caso di questi ucraini, tali Nahemoth, l’affossamento temporale non è stata cosa arcaica: “Novum Testamentum: Evangelium Morti” risale solamente al 2013 e, sebbene anche solo tre anni in questi tempi di continua saturazione possono dire molto, il suo splendore artistico è ancora in tempo per splendere nella giusta epoca.

Questa opera di origini ucraine ci appare, sin nei suoi primi momenti, come un manuale di arti nere risalente ad un’epoca arcana: basterebbe spulciare il booklet infatti, strutturato come un antico manoscritto, per rendersi conto che siamo al cospetto di un qualcosa che va oltre il semplice compito di saturare il mercato dell’estremo.

“Novum Testamentum: Evangelium Morti” si configura, in ogni suo aspetto (contenuto musicale in primis), come un’opera ricolma di animo e passione: le sonorità del combo ucraino sono estremamente personali, come una versione più atmosferica, mistica e catartica dei Watain, se solo questi ultimi fossero rimasti tuttora ancorati agli stilemi del black classico così oggi conosciuto. Le classiche sfuriate black metal non mancano, ma il tutto è avvolto in una densa foschia che odora di morte: l’alternanza di arpeggi di chitarra classica, parti ‘thrashy’ (sempre abbondantemente sostenute dall’uso della doppia cassa), assoli di chitarra classicamente heavy metal e cambi di scena strumentali rende questo platter un qualcosa che va ben oltre la classica uscita black metal oltranzista e monodirezionale, tipica di un certo underground che spesso mira più alla forma che alla sostanza.

In quetso senso un capitolo discografico come “Novum Testamentum: Evangelium Morti” è sia forma che sostanza, e lo si capisce sin dalle prime battute della intro strumentale ‘Corona Mortis’, pregna del suo misticismo occulto che avvolge sin dai primi momenti l’ascoltatore: è chiaro fin da subito che questo è un disco che va ascoltato avvolti nella tenebra, eliminando ogni vaga fonte di luce dalla nostra camera, perchè solo così riusciremo a capire davvero dove le atmosfere furiosamente malinconiche del disco vogliono portare la nostra mente.

Lo stile è compatto, estremamente melodico ma, sotto quest’ultimo aspetto, sempre ancorato alla ricerca della via verso l’Apocalisse più che della presa facile sull’ascoltatore, obbiettivo comunque riuscito grazie al grande talento dei nostri misconosciuti ed arcani adoratori delle tenebre: la produzione aiuta in tal senso, focalizzando ancor più l’attenzione dell’ascoltatore sui singoli pezzi e sulla ricerca sempre attenta dell’arrangiamento, per tutta la durata del disco improntata ad enfatizzare più il carattere occulto delle singole composizioni che la violenza dei brani, sebbene quest’ultima non sia certo messa in secondo piano (anche se il volume della batteria poteva forse essere alzato di qualche decibel, ma credo che ciò sia un dettaglio vicino al feeling che la band voleva dare al disco).

Il risultato sonoro è assolutamente degno del contenuti prettamente musicale: ogni nota risuona al suo posto con un risultato finale assolutamente realistico e d’impatto, allontanando il tutto dalle atmosfere spesso patinate di molti act ben più noti.

Una delle cose migliori del disco è sicuramente, oltre alla sua particolarità nell’insieme, la performance vocale del singer Ayzen Kaoz: sebbene il velenoso singer non sia certo in possesso in un’ampia varietà di registri vocali (a proposito, mi pare lecito far notare che tutti i testi sono in lingua russa/cirillica, fatta eccezione per la presenza di alcune parti in latino sparse tra i brani), il Nostro risulta convincente in ogni passaggio grazie alla sue corde vocali distorte dalla passione del suo scream lacerante, mentre le sue stesse urla fanno da guida verso i vari capitoli del nostro viaggio negli Inferi della più perversa dannazione.

Un disco ed una band da scoprire, per una perla nera di assoluta malvagità e fierezza, da assaporare sino al suo ultimo respiro nel suo fascino morboso e decadente.

 

Come un sentiero mistico utile per cercare una chiave di ricerca musicale per l’ignoto.

Novum Testamentum: Evangelium Morti

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