Recensione: Nowhere To Run
Accanto alle vecchie glorie dell’AOR e dell’hard rock, ancora una volta arriva anche sangue fresco di giovani virgulti del rock nel roster della Frontiers Records.
Questa è la volta dei The Brink, band proveniente da un Regno Unito particolarmente vivace in questi ultimi tempi, e formata da Tom Quick (voce), Alex Bittles (chitarra solista), Izzy Trixx (chitarra ritmica), Gary Connor (basso) e Davide Drake Bocci (batteria).
Nati, come avviene a tante formazioni, come cover band, hanno presto dato vita a canzoni scritte di proprio pugno, e raggiungono oggi il traguardo del primo album, dal titolo “Nowhere To Run”.
Chi si aspetta dai The Brink solo hard rock o classic rock – come avviene di recente per tante nuove proposte di quella che qualcuno chiama la New Wave of Classic Rock – dovrà parzialmente ricredersi con l’ascolto del full-length.
The Brink, infatti, sono giovani figli del proprio tempo e, sebbene posseggano solide basi nel rock anni ottanta, duro e melodico come piace da queste parti, hanno ascoltato e metabolizzato pure tanto rock contemporaneo e degli anni Novanta, comprese alcune istanze che definiamo pop-punk.
Le due anime antica/moderna della band si fondono in canzoni come Little Janier (che veleggia tra hard rock class e punkizzato un po’ alla Skid Row e pop-punk più contemporaneo, caratterizzato da ficcanti riff chitarristici e semplicità d’ascolto) e Said And Done (grintoso hard rock pure della serie “ Skid Row meets Green Day”).
L’atmosfera maggiormente hard e più cara ai lettori di TrueMetal si registra soprattutto in brani che si concentrano nella seconda parte del disco: ecco, dunque, che i The Brink percorrono velocemente i sentieri di un heavy rock più tonante in canzoni come le groovy Fairytale e Don’t Count Me Out, nelle quali il canto s’increspa alquanto, e ancora come l’hard rock drammatico di Burn e quello, di contro, orecchiabile – ancorché aggressivo – di Break These Chains.
Tra i momenti più avvincenti del disco, però, va citata sicuramente Wish, una ballata dolorosa, oscura e coinvolgente, magnificata dalle citate influenze della band, e contrassegnata da un bell’ assolo finale di chitarra, dalla presenza di suoni d’orchestra e, persino, da echi lontani di matrice roots.
I momenti più vicini al rock di oggi sono certamente tracce come Never Again (più catchy, sempre veloce e vicina al pop-punk dei Green Day), nonché in canzoni come Nothing To Fear, Take Me Away e, soprattutto, Save Goodbye (presente, come bonus-track, anche in una versione acustica che preferiamo), nelle quali imperversano, all’interno di una cadenza midtempo, melodie spiegate a gran voce.
I The Brink, in definitiva, offrono all’ascoltatore del loro “Nowhere To Run”, un insolito mix tra Bon Jovi o Skid Row da una parte, e Green Day, My Chemical Romance e 30 Seconds To Mars dall’altra. Il risultato è indubbiamente molto gradevole, grazie, soprattutto, alla grinta ed alla vincente genuinità della proposta. Certo, questo sound potrebbe sia accontentare diversi tipi di ascoltatore di musica rock oppure, di contro, scontentare tutti, e, forse il songwriting dovrebbe complessivamente maturare di più (il disco presenta qualche filler).
Da parte nostra, testimoniamo che la freschezza e l’energia degli strumentisti e, in particolare, delle chitarre e la qualità del canto sono predominanti su alcune (poche) debolezze, e siamo sicuri che i The Brink siano una promessa già molto divertente che verrà mantenuta e potenziata certamente nei lavori successivi.
Francesco Maraglino