Recensione: [N]utopia

Di Alberto Fittarelli - 11 Gennaio 2005 - 0:00
[N]utopia
Band: Graveworm
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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82

Siamo ad un punto di svolta radicale per i veterani Graveworm: fedeli
da sempre ad una certa linea sonora, sostanzialmente corrispondente al black
sinfonico e con influenze gothic, ci soprendono ora con un album che cambia
nettamente le coordinate stilistiche, i colori con cui il gruppo si è espresso
sinora.

Non temete: [N]utopia sviluppa solo in diverso modo quella che
è l’incontestabile personalità della band, ma lo fa con un approccio del tutto
mutato rispetto anche solo al recente Engraved In Black. Si parla
ora di basi nettamente death/thrash, almeno per quella che è la prima metà del
disco, la più innovativa: riff secchi, taglienti ma anche melodici, enfatizzati
da suoni limpidi senza per forza essere blandi. Indicativa, da subito, la
canzone di apertura, quella I – The Machine scelta anche per il primo
videoclip della band: come si può non restare sorpresi dinanzi ad un riffing
aggressivo, con le caratteristiche tipiche del thrash irrobustito di stampo
svedese? Certo le aperture melodiche sui chorus rimangono affidate alla tastiera
di Sabine Mair, ma il guitar-work resta preminente nelle nuove
composizioni, come spiega anche il cantante Stefan nell’intervista
relativa.

Cantante che resta l’altro grande punto di forza del combo: dove il filone
tende, dopo un certo numero di album, ad appiattirsi su tendenze darkeggianti e
sonorità da club, Stefan garantisce invece una prestazione di prima
classe, con screaming e growling (quest’ultimo, manco a dirlo, molto più
presente che in passato) di primissimo livello.
Ora, mescolando il tutto ne risulta un amalgama affascinante, vista la qualità
dei singoli brani, con un’alternanza tra parti sognanti ed altre più aggressive
che lascia il segno, e sfugge di gran lunga alla logica di “prodotto usa-e-getta”
che sembra attanagliare gran parte del circuito metal di grosso livello (leggi:
Nuclear Blast): pezzi come la insolita, ritmatissima, Hateful Design si
alternano a influenze provenienti direttamente dalla decennale carriera dei Graveworm,
come la title-track, che riassume vecchio e nuovo in modo mirabile, o la
conclusiva MCMXCII, guarda caso l’anno d’esordio della band.

Una produzione che lascia spazio a tutti gli strumenti e che ne trova nella
giusta dose anche per quelle tastiere che rischierebbero di essere di essere
coperte dal muro di suono creato da chitarra e basso grazia tutto l’album, riuscendo a trovare il giusto punto d’incontro tra sonorità finora
raramente conciliate. Piena, potente ma non per questo monodirezionale, la
registrazione è il sigillo di un’uscita davvero notevole, e destinata a durare
nel tempo; sperando che, ora che ha dimostrato di saper uscire da presunti
binari prefissati, la band sudtirolese sappia portare avanti la propria
evoluzione su questi livelli anche in futuro.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

1. I – The Machine
2. (N)Utopia
3. Hateful Design
4. Never Enough
5. Timeless
6. Which Way
7. Deep Inside
8. Outside Down
9. MCMXCII

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