Recensione: Nux/Hêmera
Un’esperienza di lungo corso su TrueMetal porta con sé la consapevolezza che, in chiusura d’anno, c’è sempre spazio per qualche sorpresa inaspettata. Ora, il 2016 è stato nefasto sotto innumerevoli punti, eppure di sorprese in chiusura ne sono arrivate, e tra queste è lecito includere anche gli Ophidian Spell. Quintetto francese, di Strasburgo e di belle speranze, che aveva già dato alle stampe un demo alcuni anni fa, gli Ophidian sono infatti giunti quest’anno alla prova del primo full length, intitolato Nux/Hêmera.
Si presentano dichiarandosi dediti a un death metal tecnico, la prova dell’ascolto mette in luce tuttavia come la dicitura risulta essere piuttosto riduttiva. Pur non essendo del tutto fuori via, infatti, il primo nome che balza in testa è quello di Ihsahn, complice probabilmente anche lo screaming di Will, molto prossimo a quello del maestro norvegese. Anche il lato sonoro si avvicina molto a Ihsahn, a quello meno contaminato e più feroce – si faccia riferimento, quindi, alla produzione che va fino ad Adversary – e da vita ad una serie di composizioni, ad esempio la opener Revenge, costruite in primis su riff di chitarra cerebrali, per un effetto di sicuro impatto e di buona orecchiabilità.
Un risultato non facile da ottenere dati i presupposti, ma comunque sostenuto da una produzione cristallina (notevole per un autoprodotto) e valorizzato da un songwriting sorprendentemente maturo. Oltre a questo, gli Ophidian impreziosiscono la loro opera con disparate influenze, ad esempio con tastiere atmosferiche che qua e la ricordano l’ultimo Devin Townsend, e la comparsata di voci femminili eteree (qui ci si trova innanzi ad una certa carenza di informazioni, non è dato sapere se le titolari del clean, Seyma ed Élise, siano ancora in formazione o meno o semplicemente se siano collaboratrici esterne) in diversi pezzi, che danno a Nux Hêmera un retrogusto vagamente Gothic. In particolare in Close Distance il cantato si avvicina in maniera abbastanza forte a quella della nostra Cristina Scabbia. Ancora, particolarmente riuscita è la melodia che guida Lake Manzala, mentre in The Dinner gli alsaziani strizzano l’occhio a certo industrial per un effetto buono in quanto ad immediatezza.
Tutto molto bello, nella sostanza, sebbene la seconda parte del disco mostri un po’ la corda e presenti un paio di pezzi sfilacciati come ad esempio At the Edge o la conclusiva Mental Universe, o semplicemente un po’ pesanti da digerire. Ad ogni modo, gli Ophidian Spell sono una piacevole novità, di quelle che oramai abbastanza spesso iniziano a spuntare oltralpe (Område), e mette in luce che la scena francese, finalmente, sta iniziando a dar vita a proposte affascinanti ed originali. Buon inizio.