Recensione: O3: A Trilogy – Part 2
A volte ritornano. Sono trascorsi diciotto anni da “When Dream and Day Unite”, trampolino di lancio di una band che non ha bisogno di presentazioni. Dietro al microfono, ai quei tempi, si trovava un musicista forte già di una lunga esperienza sul campo, distintosi in particolare come corista e chitarra dei Frankie And The Knockouts: Charlie Dominici. L’alchimia tra la voce di Charlie e lo stile dei compagni non si rivelò tuttavia delle più efficaci, e ben presto si risolse in una nube di fumo. Da qui, la storia del suo sostituto e dei Dream Theater è cosa nota.
Di Dominici invece si persero le tracce. Dopo una lunga assenza dai palchi, il singer fece il proprio ritorno nel 2005 con un concept album completamente acustico, intitolato semplicemente “O3 – A Trilogy – Part I”. Il comeback passò quasi completamente inosservato, complice una distribuzione tutt’altro che capillare. La sempre attiva Inside Out, tuttavia, ha oggi deciso di scommettere sul redivivo veterano: l’illustre ex è tornato.
Innovazione, originalità, freschezza: le parole d’ordine che sommergono il biglietto da visita di Dominici sembrano a dire il vero quelle meno appropriate per presentare il nuovo “O3”. Il legame con il precedente disco acustico, intimo e riflessivo, è troncato drasticamente. Pare piuttosto di essere tornati ai tempi dei primi vagiti del progressive metal, quando il confine rispetto a Metallica o Judas Priest stava cominciando a stabilirsi con più esattezza. Di certo, dei tratti considerati tipici della genìa prog, “O3” eredita l’esuberanza tecnica, non scevra da uno spiccato gusto per la melodia. Da questo punto di vista il vecchio Charlie si è trovato dei compagni di viaggio di prim’ordine, pescati – sorprendentevi, ma non più di tanto – da una band tricolore. I meritevoli prescelti sono stati i Solid Vision, giovane e promettente act di origini sarde, già positivamente recensite su queste pagine. E non c’è che dire: la prova della formazione cagliaritana è di primissimo livello, come dimostrano gli otto minuti e mezzo della strumentale “The Monster”. Possente e autoritaria, l’opener apre le danze deliziando con i suoi raffinati intrecci di chitarra e tastiera, tra assoli funambolici e imprevedibili cambi di ritmo. A colpire è soprattutto l’intesa reciproca fra i quattro virtuosi dello strumento, capaci di muoversi tra strutture decisamente complesse con la compassata disinvoltura dei veterani. Lo stesso Dominci dal canto suo si impegna per dimostrare di essere a suo agio in quel contesto heavy rock che un tempo lo aveva rigettato, e in effetti la sua impostazione vocale segna dei rilevanti progressi rispetto ai tempi di “When Dream and Day Unite”. La sua prova, pur priva di sbavature, si ritrova tuttavia a più riprese adombrata dal talento degli strumentisti, i cui intricati fraseggi finiscono per catalizzare con continuità l’attenzione dell’ascoltatore.
Decisamente più incisivo il suo operato in fase di songwriting: senza particolari cali di tono i brani si susseguono fluidi e scorrevoli, capaci di mantenere alto il livello di attenzione nonostante la durata non sempre contenuta. Non si può d’altro canto negare che il terreno sui cui i nove pezzi di “O3” si muovono sia già stato ampiamente battuto dai Dream Theater dei vecchi tempi, oltre che naturalmente dagli immortali ispiratori di questi ultimi: Rush, Yes e King Crimson emergono per ampi tratti su buona parte dei brani, a volte anche in modo plateale. Eclatante il caso di “Greed, The Evil Seed”, tanto accattivante quanto derivativa – soprattutto per quanto concerne la sezione strumentale. Ma il senso di “già sentito” è qualcosa che pervade l’album nella sua interezza.
Il ritorno di Dominici può dunque annoverarsi a pieno titolo tra gli “eventi graditi” di questa annata, che già si profila prodiga di uscite importanti e molto attese (Threshold e Symphony X solo per fare un paio di nomi). Se un album del genere fosse uscito una quindicina di anni orsono, probabilmente avrebbe avuto un impatto di un certo rilievo sulla scena. Ma ormai siamo nel 2007, e molto è già stato scritto e suonato. Da questo punto di vista, “O3” è un disco tutt’altro che innovativo: checché Charlie ne dica, il debito da pagare nei confronti dei Dream Theater e di tutta la scuola prog rock è pesante, pesantissimo. Da un altro punto di vista, comunque, bisogna senz’altro ammettere che, fra nugoli di imitatori, siamo effettivamente di fronte a uno degli (involontari?) omaggi al passato meglio riusciti degli ultimi anni. E buona parte del merito, non lo si dimentichi, va attribuito ai ragazzi dei Solid Vision, che grazie a una produzione finalmente di alto livello possono dare degno risalto alle loro ammirevoli doti di esecutori.
Il concetto, insomma, dovrebbe essere chiaro. L’innovazione sta altrove. Chi tuttavia ha amato il progressive metal delle origini – quello che ancora non si era scrollato addosso la patina degli anni ottanta – chi tra mille e più pappagalli allo sbaraglio volesse scegliere una band capace di riproporre quelle sonorità ad alti livelli, può tranquillamente puntare su “O3” e accantonare il resto.
Riccardo Angelini
Tracklist:
1. The Monster (8:28)
2. Nowhere To Hide (5:06)
3. Captured (4:16)
4. Greed, The Evil Seed (7:27)
5. School Of Pain (7:23)
6. The Calling (6:40)
7. The Real Life (3:28)
8. The Cop (4:49)
9. A New Hope (6:53)