Recensione: Obituary
Se nella storia del death metal vi è un gruppo su cui sai già più o meno come andrà a finire la storia, si tratta degli Obituary.
Questa volta però, l’ensemble floridiano riaffila le zanne per un ritorno con i fiocchi: quando hai a che fare con un disco a titolo omonimo non puoi sbagliare, perchè o si tratta di un esordio oppure di una possibilità di volersi riscattare, come fosse una rinascita. Questo omonimo ovviamente marcia a favore per la seconda opzione, perché “Obituary” è un disco maledettamente coinvolgente, perfettamente prodotto, per 10 brani (11 nell’edizione deluxe) senza compromessi che ti spezzano l’osso del collo anche solo nell’immaginarti a pogare sotto una roba del genere.
Ecco, fine recensione.
No, scherzo ovviamente, però non sarebbe troppo errato che la cosa si potrebbe anche concludere qui in quanto questo omonimo ha dalla sua sì un grandissimo impatto, un groove sferzante ed un sound annichilente, però ci sarebbe anche da dire che, purtroppo, è anche un platter prevedibile nella sua ‘Obituaricità’ (ehm, forse ‘Obituarizzazione’ rendeva meglio, lo so) dato che qui dentro troverete solo carne da macello.
La vostra, ovviamente. Ma anche la solita. Però la questione è che ci piace e pure tanto.
E qui potremmo cominciare ad annegare in questioni lunghe ed eterne quali l’universo e perennemente irrisolvibili, come ad esempio se sia davvero giusto giustificare e glorificare la solita roba anche quando questa viene proposta nella sua forma migliore, oppure lasciar marcire per sempre i dinosauri e pensare alle nuove razze musicali che propongono le loro versioni di ricette a sette note con contorno di borchie, toppe e capelli lunghi ( – per chi li possiede, io non più… – Nda ). E mettendomi nei panni di quest’ultima fazione non riesco nemmeno a dar torto: voi mangereste sempre nello stesso ristorante quando basterebbe girare per la città per trovarne di nuovi con menù differenti? Voi andreste sempre a letto con la stessa amica di sesso quando essendo non legalmente legato potresti anche permettere a te stesso di cambiare?
Ma…beata onestà!
Sì dico a voi, guardiamoci in faccia: spesso le cosiddette leve gli Obituary se li scopiazzano ben bene e, per carità, potresti anche farlo benissimo, ma poi dopo un 2-3 ascolti degli Obituaclone allora cominci a chiederti se valga davvero la pena spendere il tuo tempo con certa roba e se non sia meglio ritornare agli originali. Bene, partendo da questo presupposto devo dire che questo omonimo è davvero una bella rinascita, perché se desiderate tornare a riascoltare gli Obituary di un tempo, quelli belli graffianti con l’inconfondibile voce di John Tardy e del sempre essenziale quanto devastante percuotere di pelli di suo fratello Donald, senza dimenticare il riffing scatenato ed hardcore-style di Trevor Peres, allora direi che questa è un’occasione meravigliosa per poter tornare a farlo. Tutti i singoli episodi del platter non tradiscono per nulla la matrice old-school ed abrasiva del gruppo, risultando un bel ‘mappazzone’ di elementi classici, di certo non rivoluzionari ma che faranno la gioia dei death metallers più incalliti, senza contare il novizio occasionale che trarrà sicuramente beneficio dall’ascolto di questo bel discozzo.
I pezzi infatti, sono tutti di buona fattura con il risultato che l’album nel complesso non stanca. Certo non osa, ma dato che pariamo degli Obituary perchè dovrebbero osare? Sinceramente abbiam più o meno visto tutti cosa rimaneva dei veri Obituary quando questi si son messi a sperimentare nuove soluzioni con album che personalmente reputo di discutibile fattura…e quindi sapete cosa vi dico?
Bentornati Obituary, vi dico.
E beata “ignoranza” dico, anche, rigorosamente tra virgolette, in quanto questi sono gli Obituary che abbiamo sempre amato ripeto, ma in forma finalmente smagliante. Farne una ‘track-by-track’ ovviamente sarebbe una cosa davvero ridicola, ma permettetemi almeno di dire che vi sono momenti davvero eccitanti contenuti tra questi solchi, come l’iniziale ‘Brave’ che è pura follia hardcore sparata in faccia (e pure la successiva ‘Sentence Day’ non è da meno) oppure gli stacchi assassini di ‘End it Now’, stacchi che fanno di questo pezzo il classico brano programmato per farsi male mentre si poga! Il tutto senza dimenticarci del riff chitarristico sbilenco di ‘Betrayer’ e soprattutto dei due brani conclusivi (quindi è un platter che funziona bene anche e soprattutto nella parte conclusiva, che bravi questi eterni ragazzoni, le hanno pensate proprio tutte…) ‘Straight to Hell’ e ‘Ten Thousand Ways to Die’, episodi dove a momenti mi son rizzati i peli delle braccia a risentire gli echi degli Obituary della cara, amata e sempiterna vecchia scuola. Ecco, mi son dilungato troppo vero? Siamo arrivati dallo scrivere tre righe scarse al rilasciare un inutile trattato sul perché gli Obituary che ci piacciono devono sempre rimanere fedeli a loro stessi.
Ed è vero. E non me ne pento nemmeno, di questo trattato. Questa volta però, una felice costanza nel songwriting ed un’ottima produzione rendono il tutto particolarmente marcio, potente e godibile quindi, in merito alle questioni accennate poco sopra, rispondo così: se vi piacciono gli Obituary direi che potete procedere ad occhi chiusi, mentre se siete dei fervidi sostenitori dell’innovazione a tutti i costi e delle nuove leve che in realtà tanto nuove non sono (perché il riciclaggio non è quasi mai sinonimo di novità…) cosa vi posso dire, se non che vi state perdendo una sana e sonora mazzata?
Tenetevi i vostro Obituacloni, io preferisco dedicarmi agli originali: i Maestri son tornati ed adesso tutti i cloni dovranno fare i conti con loro.
Bentornati ragazzi, vi voglio bene anche se non vi conosco di persona!