Recensione: Oblivion
Nato per iniziativa del polistrumentista Pasquale Ninni, affiancato dall’altro chitarrista Leonardo Ascatigno, il progetto Hymnodya esordisce con questo EP all’insegna di una proposta personale e ricercata.
Nel magma sonoro di Oblivion, le anime del death metal feroce e di quello melodico confluiscono, attraverso un approccio tecnico e velatamente progressive, verso sentieri epic crepuscolari. L’attenta cura nelle melodie li tiene lontani dalle facili costruzioni di act come Amon Amarth e compagnia vichinga, evitando l’approccio barbaro e guerresco per concentrarsi su introspezioni melodrammatiche.
Un’iniziale dolcezza lascia spazio alla ferocia nella title-track, dove intrecci armonici e strofe death si uniscono in passaggi tecnici pronunciati. Le aperture melodiche creano momenti solenni, soprattutto nella seconda parte, grazie a un lavoro strumentale raffinato ed emotivo.
Divine si apre con un growl che rimanda a Jeff Walker, ad opera dello stesso Ninni, mentre le chitarre creano ritmiche veloci e dal taglio moderno. Un pezzo death melodico con sospensioni soliste di grande effetto, in cui trova spazio anche un certo gusto per le dissonanze. Non stupirebbe se tra le fonti di ispirazione dei due musicisti ci fossero formazioni diverse tra loro come At The Gates e Cynic.
Trame epiche e dolorose dominano Forgotten Child, le cui accelerazioni conducono in territori oscuri. I refrain malvagi non rinunciano a suggestioni melodiche e confermano grande maturità compositiva. L’outro strumentale Alone We Stand consente di congedarsi con intensità da questo mini d’esordio.
La bella copertina ad opera di Alessandro Amoruso sposa perfettamente le atmosfere di Oblivion, dove tecnica e pathos sono messi al servizio del songwriting, per un approccio colto alla materia metal. Il progetto Hymnodya mostra forti connotati e merita di evolvere in una band vera e propria, per proseguire in quel processo di apertura mentale che caratterizza questi primi brani.
Web: www.hymnodya.com
Bandcamp: Hymnodya