Recensione: Obscure Verses For The Multiverse
“Obscure Verses for the Multiverse”: sesto atto per l’accoppiata Dagon/Incubus, più che mai una certezza che spadroneggia negli ambienti e negli angoli più scuri e angusti del pianeta, incutendo timore e una sorta di rispetto da parte dei suoi adepti. A due anni di distanza da “Ominous Doctrines Of The Perpetual Mystical Macrocosm”, gli Inquisition ampliano e amplificano il loro operato con altre dieci gemme da incastonare nella loro discografia.
Dai primordi (1988) thrash metal come Guillotine, di cui purtroppo non abbiamo tracce di registrazioni e demo, la band evolve in maniera quasi naturale in Inquisition l’anno successivo, e le prime registrazioni (un demo, due EP e uno split) seguono lo stile iniziale, anticipando di fatto il loro passaggio al black metal, ‘visibile’ nell’EP “Incense Of Rest” datato 1996. Il combo originario formato da Dagon e Jhon Santa si divide nel momento del trasferimento in terra americana del leader, che recluta il batterista Incubus. E dal primo album “Into the Infernal Regions of the Ancient Cult” sono trascorsi quindici anni, che hanno portato la band ad affermarsi tra le maggiori esponenti della musica nera e occulta, complici i testi spinti che trovano amalgama e simbiosi con la loro musica evocativa, che riesce a farli emergere dalla marea di band che si cimentano nel genere.
Lo stile Inquisition è un motore ben rodato e impregnato di riff oscuri e ripetitivi, il cui scopo è di condurre l’ascoltatore in una sfera magica, ossessionato in una sorta di trance, dettata dalla monotona e ipnotica voce di Dagon, segno caratteristico e imprescindibile del sound della band. Cambi di tempo repentini sono un’altra caratteristica identificativa del duo, che spesso sfocia in blast-beats feroci, per rientrare subito nei ranghi ‘evocativi’.
Il drumming ossessivo è riscontrabile fin dall’opener “Force Of The Floating Tomb”, dove Incubus prende subito in mano la situazione andando dritto al sistema centrale, complice il riffing acidulo della chitarra e l’intermezzo che ci rimette in profondo contatto con la voce di Dagon. Ancora tempi strettissimi in ”Master Of The Cosmological Black Cauldron” e “Arrival Of Eons After”, spezzati da arpeggi semplici ma altrettanto inquietanti nel primo caso, e da una sezione tendente all’etnico nel secondo. Solo brevi apparizioni che lasciano respirare per tirar giù dritto fino al prossimo scontro. Anche “Darkness Flows Towards Unseen Horizons” è incentrata sul rullante-killer di Incubus, ad esclusione della sezione finale, in cui un riff ritorna prepotente a ricordarci con chi abbiamo a fare: Dagon. La title-track “Obscure Verses for the Multiverse” viaggiare su un main riff in 4/4 senza troppe pretese, che presto si trasforma in un arpeggio e in un solo di chitarra che rilancia un secondo delizioso arpeggio che apre le porte dell’inferno, sulle quali Dagon scaglia il suo essere in: «Blackest Skies Where You Shine, Greatest One, Lord Of Stars, Spewing From The Dragon’s Mouth, Flowing Ancient Cosmic Sea, From The Ancient Text You Read Verses For The Multiverse».
L’intro di tamburi tribali di “Spiritual Plasma Evocation” è un rito propiziatorio sul quale un riff principale introduce il momento di maggior espressione di Dagon, se possiamo definirlo tale, e l’arpeggio che si concatena brilla di una sua bellezza che conduce il brano verso un nuovo viaggio tra lande e terre sommesse. Anche tempi dispari e illusioni metriche sono della partita, e ne sono evidenti esempi “Joined by Dark Matter, Repelled By Dark Energy” e “Inversion Of Ethereal White Stars”, che fanno risaltare anche particolari timbri strumentali nelle sezioni centrali. La voce in “Joined by Dark Matter, Repelled By Dark Energy” raggiunge frequenze assurde, al limite della sopportazione umana.
La semi-conclusiva “Infinite Interstellar Genocide” vede il duo ancora alle prese con devastanti blast e riff assassini, che lasciano spazio a versi sovrannaturali e invocazioni remote nel finale, con un corno tribale ad accompagnarle verso l’oblio. “Where Darkness Is Lord And Death The Beginning” è in realtà una bonus-track, il cui riff iniziale anestetizza ulteriormente i sensi per le sue trentadue ripetizioni, prima di approdare in terra inquisitoria, dove i soliti ma goduriosi arpeggi si mescolano con le ritmiche semplici ma efficaci di Incubus. Nel momento di relax ecco un’ulteriore scossa elettrica innescata da Dagon e dal suo invocare ‘a tutti i costi’ forze dell’aldilà, che si stagliano contro il feedback che chiude la partita.
Ancora una volta gli Inquisition si dimostrano grandi menti e padroni delle proprie concezioni e ideologie che riescono a far confluire in musica di altissimo livello. Nulla che non rientri nei loro canoni, fatti di atmosfere altalenanti e cambi ritmici improvvisi, a supporto della gran voce di Dagon, che ricorderemo come una delle menti più strabilianti del genere…ma solo negli anni a seguire (purtroppo). Per ora l’underground del duo continua a regalarci momenti intensi, e noi siamo ben lieti che restino fedeli e coerenti al loro credo.
Vittorio “versus” Sabelli
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