Recensione: Obscurity

Di Vladimir Sajin - 27 Dicembre 2017 - 0:01
Obscurity
Band: Dragonhammer
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2017
Nazione:
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75

A poco più di tre anni di distanza dall’ottimo “The X Experiment”, i capitolini Dragonhammer fanno il loro ritorno con un nuovo album: “Obscurity”. La band romana è attiva dal 2001, quando pubblicò il debut album “The Blood of the Dragon”, un discreto lavoro symphonic power metal, penalizzato da una scarsa originalità e carenza di inventiva che troppo poco si discostava dai più celebri Rhapsody e Kaledon. Nel 2004 con “Time for Expiation”, freschi di un nuovo contratto con Scarlet Records, aggiustavano il tiro a livello compositivo: le sontuosità sinfoniche venivano, in parte, abbandonate e il suono reso più asciutto e power rispetto a prima, conferendo così alla band una propria identità compositiva. Purtroppo, a causa di alcuni problemi personali dei componenti dei Dragonhammer, abbiamo dovuto attendere ben dieci anni per il terzo atto, “The X Experiment”, prodotto dalla My Kingdom Music. L’album è stato accompagnato da un bellissimo promo tour in lungo e in largo per il globo, affiancando nomi del calibro di Primal Fear, Elvenking e DGM, dove, come sempre, i nostri ragazzi hanno dato il massimo di sé, raccogliendo consensi positivi e guadagnando nuovi fan. “Obscurity” si pone sulla stessa scia dell’album precedente, portandone avanti il concetto musicale e approfondendone le tematiche; il risultato è il consolidamento e il rafforzamento della filosofia dei Dragonhammer: tutto quello che c’è di nuovo è qualcosa di vecchio ma già dimenticato.

 

Ed è proprio dalle tematiche che iniziamo la nostra disamina. Facendo il ponte con il lavoro precedente, veniamo proiettati nell’anno 2060, l’umanità è finalmente riuscita ad autodistruggersi, vengono radunati solo pochi eletti e spediti nello spazio per permettere loro di porsi in salvo, abbandonando il resto dell’umanità al proprio destino. In questo nuovo capitolo abbiamo un’analisi introspettiva dell’essere umano, che dapprima è stato in grado di provocare tale distruzione per poi elevarsi come un possibile rimedio. Un intro strumentale (‘Darkness Is Coming’) ci conduce nell’oblio (‘The Eye of the Storm’), dove le nostre paure più nascoste diventano la dura e spietata realtà, che ci pone davanti una scelta drastica: lasciarsi andare e abbandonare questa terra di dolore, oppure unirci e combattere il nemico più grande che c’è: i demoni delle nostre stesse anime. Ma la strada è lunga e per poter riuscire a sconfiggere i demoni interiori di ognuno di noi, dobbiamo prima superare l’assurdità più antica dell’umanità: la continua lotta tra uomini e tra fratelli (‘Brothers Vs Brothers’). La conoscenza, il sapere e la saggezza potrebbero aiutaci in questo ed essere la nostra salvezza, ma non lo diventeranno mai finché resteranno rinchiusi (‘Under the Vatican’s Ground’) e coloro che dovrebbero essere i custodi e maestri di tale sapere, risultano i primi a macchiarsi di quei peccati, oscenità e ingiustizie che dovrebbero invece sconfiggere. L’umanità ha perso la propria fede, tutto è diventato un mero guadagno, interesse e sterile divertimento (‘The Game of Blood’) dove non esistono più né valori né tradizioni. C’è solo il “massacro” per avere più like possibili in un social, come in un’arena dove il vincitore è di fatto il primo tra i perdenti. L’apoteosi di questo decadimento spirituale e di valori non è nient’altro che una fredda metropoli dove veniamo circondati dagli specchi che ci accecano, non vediamo altro che il riflesso della nostra stessa vanità (‘The Town of Evil’), il posto in cui scendiamo quotidianamente a patti con il Diavolo. Ma la speranza è che la fine sancisca un nuovo inizio, una guida per le future generazioni che possano vedere ciò che noi non siamo in grado di cogliere, bambini su cui porre le nostre ultime speranze (‘Children of the Sun’). Prima di lasciarci andare e abbandonarci del tutto, dobbiamo combattere ed essere forti nel momento più difficile, nel momento del non ritorno, quando la luce rossa brilla all’orizzonte e cala l’oscurità. A quel punto dobbiamo lottare (‘Fighting the Beast’). Sappiamo però che ogni catastrofe e ogni guerra comportano moltissime perdite di vite, morti che sprigionano e liberano una moltitudine di anime pure, inizialmente disperse nella bianca luce dell’infinità. Queste anime dopo il torpore iniziale tornano a casa, alla fonte, al Dio. E ciò che permane del loro passaggio sulla Terra sono gli atti compiuti e i nomi lasciati, che non vanno mai dimenticati (‘Remember My Name’) . A questo punto l’umanità ha ormai detto la sua, come un bambino che smette improvvisamente di giocare e, incredulo, guarda senza comprendere a fondo una realtà a lui nuova e sconosciuta, anche perché la mente non è in grado di comprendere certe cose, che sono di competenza superiore, dell’anima. Spetta alle anime risolvere il grande mistero della luce e dell’oscurità (‘Obscurity’).

 

Anche dal punto di vista musicale il nuovo capitolo dei Dragonhammer presenta una certa continuità con l’album precedente. Ci troviamo al cospetto di un power metal teutonico con una vena più heavy oriented, a discapito del symphonic metal. Proseguendo il parallelismo con la narrazione, anche musicalmente si percepisce maggiore attenzione alle sfumature, alle atmosfere e alla cura dei dettagli. Si è capito già da tempo che l’orientamento della band è quello di conservare e non di stravolgere, senza cercare a tutti i costi di innovare il proprio sound. Siamo abituati a leggere, e io per primo a scrivere, che spesso i gruppi soffrono di scarsa originalità. I Dragonhammer, invece, portano avanti una precisa scelta di preservare le vecchie sonorità che hanno dato origine a questo genere. Ormai dopo quasi vent’anni di carriera non si può certo parlare di ingenuità o poca esperienza della band romana. L’album ci accoglie con sonorità ricche di pathos e assoli di tastiere di Giulio Cattivera che spesso troviamo a competere in un bellissimo duello di bravura esecutiva, con la sei corde di Flavio Cicconi. Il tutto accompagnato dalle solide e martellanti percussioni di Andrea Gianangeli. Ma è l’ardito Gae Amodio al basso ad essere la colona portante, l’anima e lo spirito di questa band. Inconfondibile, ispirato e sempre sul pezzo, il mitico vocalist Max Aguzzi, che oltre a cantare palpita con la sua lead guitar. In fine voglio sottolineare alcuni passaggi d’eccedenza come ‘The Eye of the Storm’, un pezzo perfetto, che ci accoglie al suon di tastiera creando il giusto pathos introduttivo. ‘Under the Vatican’s Ground’, brano che crea un’atmosfera di grande epicità corale. L’accoppiata ‘The Game of Blood’ e ‘The Town of Evil’ rappresenta l’apice mai raggiunto finora dalla band, brani che valgono da soli l’acquisto di questo cd. Complimenti! ‘Remember My Name’, invece, è un’ottima e struggente ballata. La title track è un gran bel pezzo, ricco di un vero e proprio intermezzo strumentale di tutto rispetto che chiude questo eccellente lavoro.

 

Una proposta musicale che crea un tuffo nel passato quella dei Dragonhammer ma che ha le capacità per poter far breccia non soltanto tra i nostalgici o puristi del classico power metal. In particolare tra chi crede che certe sonorità, il modo di essere e di fare musica non hanno né tempo né spazio. Esistono in quanto tali, nel bene e nel male, nella Luce e nell’Oscurità.

 

What have you done to loose innocence?
Washing your sins with blood of men
Different souls are the enemy
You are the slaves of the great mystery

 

Vladimir Sajin

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