Recensione: Obsidian Katabasis
Per il folclore popolare i fuochi fatui sono rappresentazioni delle anime dei morti e, a seconda delle diverse tradizioni, possono assumere il significato di buono o cattivo auspicio. La scienza ci insegna, invece, che si tratta di fenomeni di combustione prodotti dai gas emessi da materie organiche in decomposizione. Comunque la si voglia vedere, il moniker Fuoco Fatuo, rimandando ai concetti di mistero, morte, destino e trasformazione, restituisce efficacemente la proposta musicale e concettuale del gruppo a cui queste righe sono dedicate.
I Fuoco Fatuo si formano a Varese nel 2011. Con Milo Angeloni alla chitarra e alla voce, Giovanni Piazza al basso e Fabrizio Moalli alla batteria, nel 2012 rilasciano un paio di EP. Se il primo “ST”, nonostante le furiose accelerazioni, rimane strettamente legato a una concezione del Doom piuttosto canonica, già nel successivo “33 Colpi di Schizofrenia Astrale nell’Abisso Nero”, realizzato a distanza di pochi mesi, lo stile della band vira decisamente verso un Doom/Death i cui riferimenti sono da ricercare in Disembowelment, Thergothon, Winter ed Esoteric.
Il primo LP “The Viper Slithers in the Ashes of What Remains” (2014) segna l’inizio di un nuovo corso in cui il progressivo appesantimento delle sonorità va di pari passo con la crescente complessità delle strutture compositive. Nel 2017, con “Backwater”, il combo compie la transizione definitiva al Funeral Doom: i brani evidenziano notevoli profondità e stratificazione grazie – soprattutto – all’inserimento di una un’altra chitarra (di cui si occupa Giovanni). Con questo disco, uscito per la canadese Profound Lore Records (etichetta di primo piano in ambito Doom, Sludge, Black e Post Metal), i Fuoco Fatuo entrano di diritto nell’underground estremo internazionale, coronando questo ingresso con un’esibizione al Roadburn Festival 2018.
Negli ultimi anni si sono verificati alcuni avvicendamenti in seno alla line-up: Giovanni Piazza è passato a occuparsi esclusivamente della sei corde, lasciando il basso dapprima ad Andrea Collaro e poi a Nicolò Brambilla, e Davide Bacchetta è subentrato dietro alle pelli a Fabrizio Moalli (ora negli Hadit, altra interessante realtà varesina). Questa rinnovata formazione ha pubblicato a inizio aprile, sempre via Profound Lore Records, il terzo full lenght Obsidian Katabasis: un annichilente e consumante vortice oscuro, alla cui definizione sonora opprimente e cavernosa hanno contribuito il mixing Nick Giagkoudakis (che ha già collaborato alla registrazione di “Backwater”) e il mastering di Greg Chandler (voce e chitarra degli Esoteric).
“Obsidian Katabasis” è aperto dagli oltre 13 minuti di “Obsidian Bulwark (Creation of the Absurd)”, che si distingue per il peculiare approccio al Funeral Doom: la prima parte – in cui sono riconoscibili derive Black e Death – è trainata da un riff portante di grande effetto, mentre la seconda assume connotazioni atmosferiche nonostante la pesantezza cacofonica e i profondi growl. “I” è un passaggio strumentale lento ed oscuro che, risultando più lineare della opener, concede una tregua emotiva prima di “Thresholds of Nonexistence Through Eerie”. Con questa traccia, che supera i 15 minuti, si entra in territorio tipicamente Funeral Doom, in cui alla voce d’oltretomba fanno da contraltare musicalità non prive di una certa (nera) melodia e richiami sinfonici. Anche questo brano evidenzia un’interpretazione molto personale del genere, come emerge chiaramente nella seconda sezione che si sviluppa in modo non lineare tra cambi di tempo e di registri vocali, con un incedere in qualche modo progressivo, inteso come tendenza alla continua evoluzione del suono, che chiama in causa gli australiani Portal.
“II” è un altro interludio strumentale che prepara il terreno per i 17 minuti di “Psychoactive Katabasis”. Alla parte iniziale davvero heavy, contraddistinta da una lenta andatura intervallata da improvvisi crescendo di ritmo e intensità, ne segue una maggiormente incline alla melodia che si evolve poi in un avvicendamento tra rallentamenti mortiferi e rasoiate estreme. Il disco si chiude sulle note di “III”, in cui il dialogo tra un arpeggio malinconico e una chitarra solista ai limiti del Drone dipinge lande di incantevole desolazione.
“Obsidian Katabasis” sorprende per la sua capacità di creare mood atmosferici e meditativi mediante l’utilizzo di sonorità estreme e intransigenti. Con questo album, di una pesantezza impressionante, ma mai fine a se stessa, i Fuoco Fatuo consolidano ulteriormente la loro posizione nel panorama estremo internazionale. Non c’era modo migliore per celebrare il primo decennale di attività.