Recensione: obZen

Di Alberto Fittarelli - 8 Marzo 2008 - 0:00
obZen
Band: Meshuggah
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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90

E insomma, i Meshuggah ce l’hanno fatta a sfornare il loro disco
migliore nell’ultimo decennio. Ovviamente, come successe per Destroy Erase Improve,
ma anche per Slaughter Of The Soul, e per tutti i dischi avanti di
anni rispetto alla data in cui vennero pubblicati, saranno in molti a criticarlo
sdegnati (almeno fino a quando tutto il punto di vista generale cambierà), e in
pochi a riconoscerne il valore: ma scripta manent, e rendiamo quindi
tributo subito al lavoro degli svedesi, di nuovo innovativo come nessun altro,
al momento, riesce a fare.

Perché molti lo criticheranno? Prima di tutto, perché questo è l’album
più melodico che i Meshuggah abbiano fatto, almeno a partire dal citato Destroy;
e se contate che sono passati ormai 13 anni, possiamo tranquillamente dire che
tutto ci si aspettava, meno che questo. Un’apertura come quella di Combustion,
per esempio, è quanto di più insolito la band ci abbia mai presentato,
paradossalmente proprio per la sua semplicità: un riff vincente, nessun
convulsione ritmica particolare, il ringhio di Jens Kidman, una melodia su cui
viene strutturato l’intero pezzo che entra nelle ossa e non ne esce. Un inno
come lo era Future breed machine, punto.

Poi il disco riprende coordinate ben più note ai fan del gruppo, per la
gioia dei conservatori. Electric Red e Bleed sono per esempio due
brani compositi, con la ritrovata batteria di Tomas Haake a costruire muri
sonori su cui inserire il gusto jazzato della chitarra di Fredrik Thordendal, o
parti tribali (il break centrale di Electric Red è da brividi)
stranamente perfette per le atmosfere industriali dell’ensamble scandinavo.
Potremmo dire tranquillamente che, esclusa Combustion, il nucleo del
suono di questo album ruota intorno a quanto abbiamo imparato con Nothing,
per le parti più lente e fangose (su tutte, l’inquietante Lethargica, e
il suo immergersi in un arpeggio acustico circondato da lievi sonorità ambient),
e Chaosphere,
per quelle più matematiche e schizofreniche: e per queste vanno citate la
rocciosa title-track, la battagliera This Spiteful Snake e soprattutto la
veloce e violentissima Pravus, vero e proprio gioiello di questa voglia
di contorsione che ha ripreso a tormentare i Meshuggah.

Discorso a parte va fatto invece per la lunga ed epica traccia di chiusura, Dancers To A Discordant System,
che si ricollega direttamente al quasi dimenticato progetto solista di
Thordendal, Fredrik Thordendal’s Special Defects, e al suo parto, Sol
Niger Within
. Lunga, strutturatissima, perfetta per controbilanciare
la diretta opener, questa canzone soddisfa i palati più esigenti, quelli che,
giustamente, non vogliono solo un’altra new-thrash band, ma sentono il bisogno
di quell’anima prog che i Meshuggah hanno sempre rivendicato. Un ascolto
da bocca (e da mente) aperta.

Bentornati quindi ai Meshuggah: che avevano già fatto (s)parlare
molta gente col solo fatto di aver firmato per Nuclear Blast, di essersi votati
alla drum machine per un paio di uscite, di aver snellito le strutture… La
parola ai fatti, e ci risentiamo quando anche ObZen sarà
considerato un classico.

Alberto Fittarelli

Tracklist:

1. Combustion 04:11
2. Electric Red 05:53
3. Bleed 07:19
4. Lethargica 05:49
5. ObZen 04:26
6. The Spiteful Snake 04:54
7. Pineal Gland Optics 05:14
8. Pravus 05:12
9. Dancers To A Discordant System 09:36

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