Recensione: Occultaclysmic
E su tutto, in questo ripugnante cimitero dell’universo, si ode un sordo e pazzesco rullìo di tamburi, un sottile e monotono lamento di flauti blasfemi che giungono da stanze inconcepibili, senza luce, di là dal Tempo; la detestabile cacofonia al cui ritmo danzano lenti, goffi e assurdi, i giganteschi, tenebrosi ultimi dèi. Le cieche, mute, stolide abominazioni la cui anima è Nyarlathotep.
(H. P. Lovecraft, Nyarlathotep)
Nella mitologia lovecraftiana, Nyarlathotep è “Il Caos Strisciante”. Nel death metal, i Lecherous Nocturne sono il caos senziente.
Lecherous Nocturne che, con “Occultaclysmic”, raggiungono il ragguardevole traguardo del quarto full-length in carriera. Sostenuti da uno stile folle e scellerato, gli statunitensi mettono anzitutto a fuoco il caos. Lo avvolgono, l’imbragano, lo comprimono e lo fanno proprio. Controllandone la natura aleatoria per trasformarla in una precisa e chirurgica macchina da guerra. Un’arma devastante, annichilente. Così facendo, difatti, il movimento caotico delle molecole assume una sua logica, un suo assetto ordinato; plasmato senza sosta dalle sapienti mani di Josh Crouse & Co. Per dar vita a uno stile assolutamente unico o quasi – di certe reminiscenze dei Deathspell Omega non ci si può dimenticare – calibrato finemente per colpire in pieno l’obiettivo cioè l’apparato uditivo dell’indomito ascoltatore.
Se di per sé il death metal è già un genere estremo, i Lecherous Nocturne vanno oltre, bucando la barriera della follia, travolgendo i limiti dei blast-beast con l’allucinante drumming del tentacolare Alex Lancia. Le chitarre di Kreishloff ed Ethan Lane mulinano senza tregua riff infuocati e taglienti, resi idonei per innalzare un muro di suono dalle dimensioni non-euclidee; d’impossibile concepimento per l’occhio umano, abituato alla disciplina delle tre coordinate spaziali e di quella temporale. Assai complessa, quindi, di conseguenza, il concepimento di linee vocali adatte a un tale scempio e, non a caso, il già citato Crouse, eroico nell’affrontare i flutti della pazzia, a volte scompare, a volte appare nel sound, come un naufrago in mezzo a una tempesta.
Al centro di questa cacofonia della psicosi si pone l’incredibile break centrale rappresentato da ‘Remembrance’, strumentale assai melodiosa (sic!) che, perlomeno per cinque minuti, accheta un po’ lo stordimento da hyper-speed che i Lecherous Nocturne producono nello spezzare agli assoni fra un neurone e l’altro.
Giusto una fugace illusione, e il combo di Greenville riprende il suo sfascio sonoro, attaccando a più non posso la barriera difensiva della mente umana, costretta a piegarsi alla super-violenza di song quali per esempio ‘Unidimensional Eclipse’ e ‘Time’s Ceaseless Onslaught’, spaventosi coacervi di note sparate alla velocità della luce. Malgrado ciò, comunque, la singola struttura delle song resta intelligibile, il che sarebbe un paradosso se non fosse che i Lecherous Nocturne siano in possesso di una tecnica strumentale molto elevata. Riuscire a mettere in musica le orride dissonanze di Nyarlathotep è già di per sé un’impresa eroica. Renderle fruibili per l’orecchio umano è la dimostrazione che nessun accordo di “Occultaclysmic” è figlio dell’alea.
Il che chiude il cerchio: il death metal dei Lecherous Nocturne è apparentemente assurdo, senza senso. Procedendo con gli ascolti, invece, il tutto prende forma e sostanza. Sostanza finalmente percepibile nel suo normale concetto fruibile dagli esseri umani che, una volta compreso tale punto di vista, possono scivolare nella trance da parossismo sonoro.
Al bando i deboli di cuore.
Daniele “dani66” D’Adamo