Recensione: Occulte Fantastique
Nel 2014 il chitarrista Howie Bentley, fondatore del combo Power Metal di Atlanta Cauldron Born, decise di porre (temporaneamente) fine all’esperienza Briton Rites, altro suo progetto con cui nel 2010 aveva dato alle stampe l’ampiamente apprezzato “For Mircalla”. Il debut album è un concentrato di Heavy Doom che si inscrive nei solchi della tradizione tracciata da Witchfinder General, Pentagram, Pagan Altar e, ovviamente, Black Sabbath, tematicamente ispirato alle vicende di Carmilla, la vampira protagonista dell’omonimo racconto di Sheridan Le Fanu del 1872 e al cinema dell’orrore della Hammer Films. Dietro alle pelli siede Corbin King, mentre le linee vocali sono affidate a Phil Swanson che allora, dopo una breve permanenza negli Atlantean Kodex, militava anche in Hour Of Thirteen e Seamount e che, in seguito, avrebbe prestato la voce ai lavori di Vestal Claret e Sumerlands, solo per citarne alcuni.
Il ritorno in attività dei Briton Rites è notizia recente, che ha anticipato solo di poco la pubblicazione del nuovo LP “Occulte Fantastique”, uscito per Echoes of Crom Records lo scorso dicembre. Per l’occasione Bentley riconferma la line up dell’album precedente, con la sola aggiunta John Leeson dei Cauldron Born al basso (in “For Mircalla” Bentley si era occupato anche della quattro corde). Anche a livello stilistico i Nostri non si discostano dal disco d’esordio, mettendo a punto otto tracce di un Traditional Doom fortemente debitore alla NWOBHM, tanto che gli episodi propriamente lenti sono solo un paio. Di poco inferiore all’ora di durata, l’album si caratterizza per il songwriting maturo ed efficace, capace di provvedere a soluzioni di impatto e a strutture diversificate, e per la prestazione chitarristica che oltre a macinare valanghe di riff impreziosisce tutti i pezzi con assoli ben congeniati ed eseguiti. I riferimenti principali delle liriche sono ancora una volta i temi della letteratura gotica e dei cult horror movie.
“The Masque of Satan” (traduzione letterale de “La maschera del demonio”, film del 1960 diretto dal maestro Mario Bava) e “In Hell I Will Rule” (già ascoltata insieme a “The Wizard’s Pipe” nella raccolta “Demos 2009/2012) sono pezzi compatti e piuttosto veloci, con rallentamenti occasionali in cui i riff emergono in tutta la loro magnificenza. L’andatura di “My Will Be Thine” e “The Demon Lover” è più lenta, ma non eccessivamente: si tratta infatti di mid tempo con linee vocali melodiche di grande presa, che già al secondo ascolto si lasciano canticchiare. Per ascoltare Doom nella sua accezione più classica si deve attendere la quinta traccia: “Strange and Beautiful” è lenta e pesante, con un “cantato sul riff” tipicamente sabbathiano (del periodo di Ozzy) dai toni drammatici che, con le sue vibrazioni occult, si avvicina sensibilmente ai lavori di Swanson con gli Hour Of Thirteen. L’accelerazione sulla ¾, sebbene sia un espediente classico, è capace di conferire al pezzo un interessante cambio di passo che spinge l’ascoltatore a un headbanging incessante.
Con “The Wizard’s Pipe”, come suggerito dal titolo, i Briton Rites strizzano l’occhio allo Stoner, mettendo a segno uno degli episodi più riusciti dell’album: una lunga cavalcata strutturata intorno a un riffing granitico che, senza emularla, ricorda nello stile “Ride” dei Cathedral. “The Witness” è un macigno in cui all’andatura sostenuta delle strofe fanno da contrappeso le decelerazioni dei ritornelli. “Occulte Fantastique” si chiude sulle note della title track: secondo brano lento, in cui la chitarra di Bentley ha modo di esprimersi in tutta la sua solenne pesantezza, creando un substrato ideale per le evocative linee vocali di Swanson.
Anche l’orrorifica immagine di copertina e la produzione retro sono in linea con gli stilemi del genere e, considerate unitamente all’offerta musicale e tematica, contribuiscono a rafforzare l’impressione che i Briton Rites facciano dell’appartenenza alla tradizione un manifesto artistico di cui andare apertamente fieri… e a ragion veduta! “Occulte Fantastique” è infatti la prova tangibile di come elementi anche non propriamente originali, se combinati con perizia tecnica, maturità ed esperienza, riescano a mantenere la proposta fresca e genuina anche all’interno di un ambito così classico come quello in cui si collocano i quattro musicisti.
Dopo un silenzio durato troppo a lungo, con questa convincente seconda prova i Briton Rites tornano a riprendersi un posto di primo piano nel panorama Doom a stelle e strisce. Speriamo solo che non debbano trascorrere altri dieci anni per poter ascoltare altra nuova musica di questa formazione “fuori dal tempo”.