Recensione: Octocrura
I D8 Dimension sono una giovane band livornese, nata nel 2009, con all’attivo un demo, pubblicato nel 2010 (Demo-N), e gavetta alle spalle (contest e tour in Italia).
Lo scorso gennaio è uscito il loro nuovo EP, dal titolo e artwork inquietanti. Octocrura sfoggia una copertina che è un programma, con un bell’acaro in primo piano, esempio di estetica del brutto.
Il gruppo toscano suona un industrial metal/metalcore, a tratti cervellotico, per palati fini, autoprodotto e con buona inventiva e cura degli arrangiamenti. Colpiscono il groove di fondo del disco, l’uso di synth e d’elettronica, così il timbro vocale di Andrea “Tepe” Tempestini, ruvido, ma al contempo melodico. Il guitarwork sciorina, altresì, riff rocciosi e svisate appaganti; le parti di batteria sono una goduria nella loro ruffianeria.
Una mezzora, dunque, di musica con gli attributi. Le sette canzoni di questo mini-album scorrono con buona coesione, anche se si avverte a tratti una ripetitività nelle soluzioni compositive.
L’opener “VRock” è di quelli tosti e diretti, con un refrain magnetico da headbanging puro. La seguente “Inferno” non è da meno e insiste su testi intrisi di lucida deprecazione dell’attuale società massificata e “nomofobica”. Leggiamo nel booklet: «And we accept the fact / that we’re bonded and enslaved / critic sense is ornamental». Le accelerazioni in crescendo nel bridge sono trascinanti, meno le oscure voci in sussurrato presenti qua e là, a sottolineare il messaggio di fondo («We don’t neeed a new Messiah!»).
“Industrial” inizia con fare compassato e smagato, per poi rivelarsi un buon pezzo con synth vellicanti e un finale tirato. La titletrack, un breve intermezzo, ha poca ragion d’essere, arriviamo direttamente a “Poisoned Hamster” (letteralmente “Criceto avvelenato”), pezzo arrabbiato con linee vocali eclettiche, ma che non propone niente di nuovo nell’economia del platter.
Penultimo brano in scaletta, “Gunmouth” è,invece, tra i momenti migliori del platter. Si parla di violenza, istinto animale e affini. Le ritmiche sono rocciose, gli accordi tenuti e la voce di Andrea “Tepe” Tempestini fa da protagonista. Ottimi, altresì, gl’inserti acustici nella seconda parte della canzone che si conclude con sonorità stoner.
La conclusiva “S.O.M.E“, brano più lungo del lotto, ha un mesto incipit acustico con linee di basso in risalto. Un finale tutt’altro che scontato, che affronta il tema del trascendente con ottima sinergia testi-musica. Doppia cassa, loop a iosa poi attorno al quinto minuto tutto tace per alcune decine di secondi. La coda del pezzo è inquietante e affidata alla sola elettronica, si poteva fare meglio.
In sostanza un mini-album che presenta una band con le idee chiare, un sound ficcante, ma ancora acerbo per certi versi (e derivativo), tuttavia con grandi potenzialità. Aspettiamo gli D8 Dimension alla prova del fuoco del primo full-length, prima di sbilanciarci oltre.
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)