Recensione: Ode to the Nightsky

Di Emanuele Calderone - 8 Aprile 2009 - 0:00
Ode to the Nightsky
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Anno: 1997
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80

Saliti alla ribalta per un breve periodo nel 1998 a seguito della pubblicazione dell’album “The Spectral Spheres Coronation”, che vedeva alla voce Jorn Lande, i Mundanus Imperium son stati, prima dell’entrata del cantante norvegese, uno dei gruppi “minori” più interessanti nel panorama avantgarde.
La prima formazione, nata in Norvegia nel 1994 sotto il nome di Nattefall, era piuttosto lontana dal power metal sporcato di tinte dark di “T.S.S.C.”, essendo più indirizzata verso un black atmosferico, dai caratteri fortementi progressivi e spaziali. L’unico lavoro, rilasciato dall’allora duo, che presenta questi caratteri è il breve EP “Ode to the Nightsky”.

Uscito nel 1997 per la casa di produzione Velvet Music, “Ode to the Nightsky” è un piccolo gioiello di avantgarde metal, nel quale confluiscono metal melodico, black metal (vero e proprio fulcro del gruppo), musica dai tratti psichedelici e progressivi, il tutto contornato da atmosfere oniriche e gelide, che riflettono i temi trattati dal gruppo in questo lavoro: l’universo e lo spazio.
Composto da tre brani, ciascuno di durata poco superiore ai cinque minuti, il disco scorre che è una meraviglia: le canzoni sono tutte ben costruite, con strutture complesse ma allo stesso tempo capaci di essere quanto mai dirette. Le ritmiche in costante evoluzione, i riffs melodici e le scream vocals, seppur prive di carattere aggressivo, risultano sempre adatte alla musica proposta dalla coppia Lars Wiik/Bent Holm.
L’album viene aperto dalla title-track, introdotta da chitarra e batteria che disegnano il riff e le ritmiche che verranno riproposte in sostituzione del chorus. Tempo poco meno di mezzo minuto ed il lavoro introduttivo viene stravolto dall’entrata in campo della voce, che, sorretta dalle melodie delle tastiere (utilizzate per altro sempre in maniera elegante, sobria e molto misurata), ci riporta al tema d’apertura. Segue un breve ma intenso break dominato ancora dalle keys che reintroduce la voce di Holm che conduce l’ascoltatore sino allo stacco di chitarra acustica, poi si sfuma lasciando tornare la canzone a pestare forte sino alla conclusione.
Si prosegue dunque con la seconda, “Winds of the Frozen Stars”, che, tra le tre canzoni, è quella che più sembra essere debitrice al lavoro dei conterranei Arcturus. Ancora una volta ad aprire è il tema portante posto anche in sostituzione del ritornello, al quale segue un cambio della linea melodica, che si fa ancor più fredda e sulla quale si adagia per qualche secondo lo scream.
Particolarità di “Winds of the Frozen Stars”, è quella di presentare una massiccia dose di momenti strumentali privi dell’accompagnamento vocale, durante i quali il duo può mostrare le proprie capacità tecnico/compositive. Ciò che colpisce in questo caso è l’intelligenza con la quale queste competenze vengono messe in mostra: il lavoro non si perde in inutili orpelli, ma risulta tanto elegante quanto diretto e privo di abbellimenti forzati e fuori luogo. Assolutamente di rilievo le gesta di Holm dietro le tastiere, sostenute da ritmiche cadenzate che rendono l’incedere del brano ancor più solenne.
A chiudere troviamo “Ridende Pa Nattens Vinger”. Il brano, a differenza dei due precedenti, si attesta su un mood decisamente oscuro, ricollegandosi più da vicino alla tradizione black metal. Nonostante manchino i riffs taglienti e le ritmiche serrate tipiche del black, la performance vocale, stavolta più incisiva ed esasperata, e le tastiere, che tessono atmosfere che rasentano l’orrorifico, avvicinano questo brano al suddetto genere.
Il finale di “Ridende Pa Nattens Vinger” è un crescendo di emozioni, con chitarre che si intrecciano tra di loro, su un tappeto di organo tanto efficace quanto semplice, sostenuto da una batteria ora più che mai vicina ai canoni stilistici del black.

Tre soli brani sono pochi per poter affermare che i Mundanus Imperium avrebbero potuto smuovere a fondo il panorama estremo. Queste gemme, però, sono comunque abbastanza per potere dire, con certezza, che la band avrebbe potuto aggiungere qualcosa, anche se poco, al mondo della musica.
Tecnicamente “Ode to the Nightsky” si presenta come un EP solido: il duo è preparato e non mostra mai il fianco a critiche di alcun genere, guadagnando invece un plauso per la qualità del songwriting sempre di ottimo livello.
La registrazione infine, pur non raggiungendo standard elevatissimi e appiattendo un poco il suono della batteria (piatti e rullante paiono piuttosto “schiacciati” e, a tratti, forse poco gradevoli da ascoltare), rimane comunque sufficiente e riesce, alla fine, a sostenere l’album senza che questo sia troppo deficitario nella qualità dei suoni.

Se siete tra coloro che hanno amato l’ondata del black metal più complesso ed articolato, questo EP potrà piacervi; se invece cercate qualcosa che sia più diretto, violento e che racchiuda al suo interno il significato più puro del black metal, inteso come era ai suoi albori, allora passate avanti e non curatevi di questo prodotto discografico.

Tracklist:
01 Ode to the Nightsky (05.08)
02 Winds of the Frozen Stars (05.39)
03 Ridende Pa Nattens Vinger (05.14)

Emanuele Calderone

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