Recensione: Ødnis
A cominciare dall’immancabile copertina in bianco e nero raffigurante una semplice natura morta, quello dei Dødsdrift è un proseguo dell’album d’esordio pubblicato nel 2019 e che ricalca i canoni di un black metal senza troppi fronzoli, ma che nella sua diretta spontaneità si prende spazio per offrire ben più che quaranta minuti di blast beat e malinconiche ritmiche serrate. Il gruppo tedesco, che resta intenzionalmente nel massimo anonimato, mostra infatti una maturità compositiva in grado di fungere da perfetta colonna sonora per quella stessa e unica immagine che affianca l’ascolto di Ødnis.
Uno dei lati più convincenti del disco in questione è proprio la ruvidità del sound che compone i dieci brani, non tanto per le sonorità che ovviamente rispondono affermativamente ai canoni più tipici del black europeo vecchia scuola, quanto piuttosto per una costruzione che caratterizza ogni singola canzone attraverso una struttura tutto sommato semplice e che mette in sequenza una breve parte introduttiva, lo sviluppo principale, variazione e quindi epilogo. Il tutto sembra funzionare sin dalle tracce iniziali che mescolano ottimamente velocità, violenza e quel senso di disperazione e solitudine che permea l’intero album. Tracce brevi e coincise che non si perdono in digressioni che se da un lato avrebbero concesso la possibilità di una maggiore enfasi sul lato atmosferico del disco, permettono di mantenere alta la soglia dell’attenzione anche di un ascoltatore meno pretenzioso rispetto a quello che solitamente apprezza o addirittura esige un songwriting più ricercato.
Su Ødnis c’è esclusivamente spazio per del sano black metal e la caratterizzazione di un brano rispetto all’altro si fa sottile con il trascorrere delle canzoni, ma il fatto di non perdere la direzione intrapresa dal quintetto non è soltanto la riscoperta di una sonorità primordiale, pura e rispettosa del sound più tradizionale, ma un ritorno ad un’apparentemente semplice intenzione compositiva che alla fine dell’ascolto rende il disco sia personale che difficile da collocare temporalmente. Potrebbe infatti essere datato 1999 o 2010 e nessuno alzerebbe la mano per dire il contrario, ma il fatto di accogliere un lavoro così sincero sul finire del 2021 e tenendo soprattutto conto di quanto – e in questo caso il black metal contemporaneo non è da meno – si tenda spesso a seguire dei canoni che eludano i soliti schemi, Ødnis si rivela per quello che è, un album che ha tutto quel che occorre per un viaggio in una terra desolata e abbandonata da ogni segno di vita. L’onestà compositiva non permette però di raggiungere mai livelli che vadano oltre la piacevole sorpresa. Manca ancora qualcosa che sia in grado di catturare a tal punto da convincere di voler restare lì, di fronte a quell’albero ormai morto, ma la strada è quella giusta. E quando per i Dødsdrift sarà il momento di tornare, saremo pronti ad accoglierli con grande piacere.