Recensione: Of Angels and Snakes
Una copertina stentorea e cafona introduce “Of Angels and Snakes”, il debutto di un arcigno quintetto che risponde al nome di Goblins Blade e, pur provenendo dalla terra alemanna, propone un power metal agguerrito e roccioso in odor di heavy oltreoceanico: quello fatto di sangue, acciaio e muscoli che si esprime attraverso tempi scanditi, riff taglienti, power chord intimidatorie, una sezione ritmica possente e guerrafondaia e che ha in gruppi come Metal Church e Savage Grace i suoi numi tutelari; aggiungete a tutto questo una voce squillante e imperiosa che si sforza il più possibile di somigliare a Bruce Dickinson e avrete “Of Angels and Snakes”. Descritto così, questo lavoro sembrerebbe la panacea di tutti i mali per i metallari duri e puri, sempre alla ricerca di un motivo per scapocciare in giro per casa: in realtà non è proprio così, ma ci arriveremo.
Come già detto, i nostri baldi tedeschi propongono un power metal di scuola americana molto arcigno, denso, in cui si gioca con tempi non troppo sparati per trasmettere la giusta pesantezza e e un’atmosfera mefistofelica e minacciosa, lanciandosi poi in rapide accelerazioni a briglia sciolta per dare un po’ di soddisfazione anche alla sezione ritmica e sfogare un po’ di rabbia accumulata. Il risultato è un metallo sulfureo e incombente che paga un giusto ma pesante tributo al metallo duro e puro del nuovo mondo, dispensando ferocia e una certa cupa solennità ma finendo per essere, alla lunga, anche piuttosto pesante da digerire. Le canzoni sono solide, graffianti e ben eseguite; gli assoli ben dosati e utili per creare un buon fomento senza inutili vanterie, mentre la sezione ritmica ha le sue occasioni per mettersi in mostra e non le spreca. Fin qui tutto bene, ma la gatta da pelare arriva ora: mi riferisco all’impostazione vocale di Florian che, come già anticipato, fa di tutto per somigliare all’ugola degli Iron Maiden. A dirla tutta lui ci riesce anche: durante l’ascolto di “Of Angels and Snakes”, infatti, i rimandi e le assonanze al sempiterno Bruce si sprecano. Questo, in condizioni normali, potrebbe essere un ottimo punto a favore, ma al momento della resa dei conti la cosa, almeno per quanto mi riguarda, non funziona come dovrebbe. Dirò di più: un’impostazione così pedissequa riduce a mio avviso il comparto vocale a una semplice copia-carbone – peraltro priva della verve del modello a cui si ispira – risultando così il principale punto debole di questo debutto.
Il tiro delle canzoni lascia poco spazio a dubbi sulla trvezza dei nostri: a parte poche variazioni, “Of Angels and Snakes” avanza come un monolite di acciaio rovente, grezzo e violento, durante il quale i nostri fanno poche concessioni a melodie facili o solari. Basta l’opener “Snakes From Above” per capire di che pasta sono fatti i nostri goblin: strofa agile e sferzante e rallentamento durante il ritornello intimidatorio. “Pay for Your Sins” invece rallenta, traducendosi nella classica marcia maschia punteggiata qua e là da un afflato solenne; purtroppo, anche qui una voce troppo forzata rovina a mio avviso quanto di buono fatto dal resto del gruppo. Va meglio con “Blink of an Eye”, che aggiunge all’amalgama un po’ di carica e qualche linea melodica più trionfale tra un riff massiccio e l’altro, e con la seguente “Final Fall”, traccia agguerrita in cui le chitarre continuano a macinare riff cafoni e dannatamente efficaci. “Utopia” si fa apprezzare mescolando chitarre granitiche e un’impostazione sfacciata durante il ritornello che si carica di un velato trionfalismo. Ritmi lenti la fanno da padroni nella lunga “When the Night Follows the Day”, marcia tracotante dal retrogusto manowariano che, nonostante un certo pathos, perde un po’ della sua efficacia per colpa di qualche lungaggine di troppo. Rumori di campane aprono “The Bell is Broken”, che in un attimo torna a dispensare scudisciate chitarristiche alternandole a momenti più solenni. In “Fall Into Darkness” i nostri iniettano una maggiore dose di trionfalismo e melodie azzeccate nella loro ricetta, pur senza rinunciare alle chitarre arcigne che costituiscono l’asse portante della loro musica, mentre “Call for Unity” si ammanta di una certa coralità anthemica per chiudere l’album con la giusta cafonaggine.
Tirando le somme, “Of Angels and Snakes” è un debutto solido e arcigno, penalizzato però a mio avviso da alcuni problemi (a parte la voce, va registrata anche una certa staticità compositiva) che ne inficiano la digeribilità, soprattutto sulla lunga distanza: pur essendo peccati veniali, giustificabilissimi in un debutto (seppur da parte di gente non proprio di primo pelo), questi problemi finiscono giocoforza per abbassare la quotazione finale, impedendo a “Of Angels and Snakes” di svettare sul mare magno dell’agguerrita concorrenza.