Recensione: Of Doom and Death
Quattro anni di distanza dal debutto “Dreamland Manor” e i Savage Circus si ripresentano con un nuovo lavoro. Dipartito per ragioni di salute – o almeno questa è la versione ufficiale – quel caro vecchio fabbro di Thomen Stauch prende i gradi di comandante Piet Sielck. Questa, per molti, non è una buona notizia. C’è chi sostiene che le band di Piet Sielck, o prodotte da Piet Sielck, tendano tutte a collassare verso un unico formato finale. Alla luce delle produzioni di diverse delle formazioni sotto l’ala protettiva del chitarrista tedesco non mi sento di dichiararmi completamente estraneo a questa corrente di perso quella direzione.nsiero, anche se, per fortuna, i Savage Circus in qualche modo riescono a sopravvivere all’uniformazione selvaggia. Anche se con questo disco fanno un passo verso quella direzione.
Se la cavano comunque bene, ancora una volta, cercando di autoproclamarsi come vice Blind Guardian, recuperando il power metal tirato e serrato tipico della Germania degli anni ’90. Ci riescono in maniera piuttosto sicura con un buon disco che però, almeno a parere di chi scrive, perde qualche punto rispetto al suo predecessore “Dreamland Manor”.
Sarà la partenza del padre affettuoso di questo progetto, il signor Thomen Stauch, ma comincia a delinearsi all’orizzonte la preoccupazione di ritrovarsi presto con un nuovo gruppo all-star costruito con i ritagli di tempo di mestieranti e comparse celebri, specialmente ora che Mike Terrana ha preso il posto di Thomen dietro le pelli. Niente da togliere alle capacità di Terrana, stranote in tutto il panorama anche dai più neofiti dei neofiti, ma in questo disco l’ex Rage non convince pi di tanto. Pesta come un matto, come da tradizione, ma le linee sono tutte molto simili. Un problema, questo, che si manifesta in tutto il riffing ritmico, anche nelle parti di chitarra. I pezzi si somigliano abbastanza l’uno con l’altro e sembrano dare l’idea che ci sia un limite in sede di composizione oltre il quale i Savage Circus non riescano o non vogliano andare. Due soli brani scendono sono sotto i 7 minuti ed entrambi di pochi secondi: decisamente troppo per composizioni con una struttura piuttosto semplice.
La differenza con il predecessore sta nelle tematiche e nelle atmosfere votate – questa volta – a una dimensione un pochino più tetra. Qualcosa che già costò ad altri power metaller del nord della Germania un episodio non troppo felice – si tratta ovviamente degli Helloween e di quel “The Dark Ride” che finì tra il fuoco incrociato della critica specializzata e quella dei fan.
Torniamo ai Savage Circus. Abbiamo detto che nonostante tutto la band tedesco-svedese si salva e mette a segno un disco discreto, senza colpi di scena e senza delusioni totali. Ebbene è proprio la coppia scandinava a fare da traino e alla fine dei giochi sono i due elementi dei Persuader, quelli più giovani e meno inflazionati, i più convincenti del lotto: Jens Carlsson e Emil Norberg, scelti all’epoca della primissima formazione per il loro approccio alla Blind Guardian e per la voce di Jens Carlsson non troppo velatamente ispirata a Hansi Kursch. La loro prova è convincente anche se Carlsson si spinge talvolta al di là di quella linea sottile che separa l’eredità e l’influenza stilistica dalla citazione eccessiva (detta anche, meno cavallerescamente, plagio).
C’è dunque da essere contenti o meno di questo “Of doom and death“? La mia idea è che c’è da essere abbastanza soddisfatti e allo stesso tempo critici verso una formazione che mantiene le promesse solo in parte. Questa band, sin dal principio, doveva essere tutto meno che originale e doveva ridare a Stauch la possibiltà di tornare a martellare power-speed alla “Tales from the Twilight World”. Perfetto, se non ci si aspetta altro che una vagonata di power metal tirato e canonico, eccoci accontentati. Se invece si chiedeva ai Savage Circus di fare un passo più in là, un saltino di qualità per entrare di diritto in quelle che possiamo chiamare “band di prima fascia”, allora no: questo non è un disco da band di prima fascia. Manca ricercatezza e mancano soprattutto carattere, originalità e tratti personali distintivi.
Lasciando da parte Evil Eyes, una delle più belle canzoni power scritte dopo lo scoccare del nuovo millennio, anche il bel debutto “Dreamland Manor” aveva i suoi difetti, ma nonostante tutto possedeva una genuina irriverenza che qui sembra essersi piegata alla rigidità di certe strutture oltre che in minutaggi davvero troppo elevati. Si poteva fare decisamente di più.
Alessandro ‘Zac’ Zaccarini
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Tracklist:
1. Of Doom and Death 06:30
2. The Ordeal 07:02
3. Devil’s Spawn 06:37
4. Chasing the Rainbow 07:08
5. Empire 07:31
6. Ballad of Susan 05:48
7. Legend of Leto II 07:03
8. From the Ashes 07:27
9. Dreamland 02:32