Recensione: …of Dust
Se devo essere sincero, ad oggi la produzione dalla band non mi aveva mai catturato davvero, affascinandomi per la novità di un nuovo nome ai tempi degli esordi di To All I Hated (2001), mostrando una band in crescita ma comunque di medio valore nel precedente Of All The Wrong Things (2003) e lasciandomi in attesa di capire quale fosse la strada intrapresa. A conti fatti, anche … of Dust non mi entusiasma e non mi trasmette la voglia di abbandonarmi del tutto alla mestizia delle melodie ed alle ritmiche lente dall’aura tetra.
Una cosa è certa: Sami Rautio ha inscenato uno spettacolo fosco e doloroso, lacerato dalla potenza dei suoni egregiamente prodotti, d’ora in poi scandito dal nuovo drummer Mark Napier (unitosi soltanto dopo la fine delle registrazioni) e recitato da vocals stilisticamente azzeccate, come sempre a cavallo tra growl (bestiale) e parlati trascinati e sofferenti, angosciosi, bassi e morbosi.
All’opera non mancano nemmeno i caratteri tipici da disco depressive doom così com’è definito, quali l’estrema lentezza ed una totale immersione nell’avanzare pesante e strisciante che domina le ritmiche, peccando però, a più riprese, di varietà, trovando sì una sua strada per ogni brano, ma con risultati più o meno positivi e senza che questa venga sviscerata a dovere a livello strutturale e d’arrangiamenti.
A conti fatti, il brano che risponde con maggiore puntualità alle esigenze citate è l’eccellente “And Waters Will Close”, il migliore della collezione ed uno dei pochi che crescono autonomamente d’espressività. Provvidenziale nello specifico l’organo, ma anche l’affascinante gioco tra le nebbie che celano e rivelano i suoni tremolanti di chitarra e la sinuosità delle parti più silenziose alternate alla prepotenza delle esplosioni strumentali.
Certamente, un prodotto tanto settoriale votato al totale vuoto interiore, non potrà essere la fiera del rinnovamento e quindi sarà prevedibilmente forgiato su note ampiamente collaudate. Quello che non riesco ad accettare è il graduale imporsi, con peso crescente, delle citazioni ai britannici My Dying Bride, non sempre appropriate oltre che invadenti. Potrei riferirmi a “One Lost”, ovvero un’abbondante boccata d’aria nel cielo inglese che continua con i vocalizzi della seguente “I Found Nothing Sacred”, pezzo potente, come sempre vissuto sull’alternanza di chiaroscuri efficaci. “These Empty Rooms”, invece, porta in dote nel suo incipit il tipico e malinconico violino di casa Stainthorpe che io userei con estrema cautela, per non cadere nel rischio di scimmiottare un trademark epocale che non vedo adatto a nessun’altro che non sia il suo inventore.
… of Dust è costellato di “sì, bravi, però…”: nello stesso disco potrai trovare “…Of Dust”, mesta e capace di trasmettere un senso di estrema solitudine, ma anche “Your Darkness Shine”, dai lineamenti bestiali e lacerati, immersa in strilli inumani, cupa e sulfurea ma via-via sempre meno interessante lungo un binario che non cambia direzione.
Disco transitorio, positivo nel complesso perché ben calato nel suo ruolo, ma non una bellezza di quelle “per le quali farsi venire il torcicollo girandosi a guardarle”.
Tracklist:
01 …Of Dust
02. And Waters Will Close
03. Your Darkness Shine
04. One Lost
05. I Found Nothing Sacred
06. These Empty Rooms
07. Disappointment
08. To Never Return