Recensione: Of Fire And Brimstone
Provenienti dalla Danimarca e alla caccia di un contratto discografico che possa far giungere ogni dove la propria violenta offerta musicale, gli Shamash danno alla luce il debutto dopo 8 anni dalla fondazione del giovanissimo quartetto black metal, con Of Fire And Brimstone, un lavoro che nell’iconografia, nel sound e nelle tematiche trattate tributa il massimo rispetto a quei nomi che hanno reso immortale il genere più estremo del panorama.
L’album si fa sin da subito apprezzare per i suoi toni cupi, per una velocità mai fine a se stessa e che ben si incastra con le parti meno frenetiche, le quali concedono un lato atmosferico che riesce tuttavia a non snaturare l’approccio “in your face” degli Shamash. Sorretto da un alone di misticismo e da un cantato che alterna toni più gravi ad un più tipico “shriek” black, The Black Sun delinea al meglio ciò che vi aspetterà nei quasi quaranta minuti di ascolto e dove il mixaggio e la produzione trovano il perfetto punto d’incontro tra quell’umido lo-fi che esalta gli acuti chitarristici e una notevole profondità dei toni bassi, più che altro quelli di una batteria sempre grintosa e che non si riduce soltanto a infarcire di blast beat i vari brani del disco.
Gospel Of Eternal Plagues è un esempio della grande ispirazione di una band giovane e che mette tutta se stessa in gioco, nota dopo nota, ma la successiva Essence Of The Ages alza ulteriormente il livello ed anche se a questo punto gli Shamash avranno consentito di dividersi tra detrattori ed estimatori, la brutalità di un brano dai sapori ancestrali ci trascina in un cupo cunicolo saturo di fuoco e zolfo. La successiva Call Of The Void sembra scritta nelle gelide foreste scandinave e assume le sembianze di una incessante marcia verso terreni disabitati da qualsiasi forma di vita. Il buio è tutt’attorno e gli Shamash proseguono nel dispensare bpm con l’altrettanto ottima Astride The Wings Of Decay, un perfetto esempio di come posizionare brani differenti tra loro e rendere coinvolgente una tracklist, senza il bisogno di inserire intermezzi o riempitivi.
Siamo alle battute finali e Blood Of Qayin esalta un songwriting che di restare nei limiti solitamente imposti dal tradizionalismo più cieco spesso impone, anche a band con alle spalle più dischi dei valori anagrafici dei membri degli Shamash. A chiudere il notevole debutto troviamo gli oltre 8 minuti di Angel Of Light, un brano che detta un tempo più cadenzato, colmo di malinconia e che trasuda drammaticità, soprattutto sul finale, attimo in cui la claustrofobica corsa verso le terre più selvagge sembra esser giunta al termine e si prepara per un secondo disco dalle grandi aspettative. Of Fire And Brimstone non stravolge i concetti portati avanti dal genere e tantomeno scuote il panorama black metal, ma senza ombra di dubbio suona convincente dal primo al trentanovesimo minuto ed esalta le sette canzoni che lo compongono (+1 breve introduzione) come un attualissimo tributo al passato, peraltro con una bellissima copertina letteralmente disegnata a mano e che strizza l’occhio alle demo che hanno posto le basi del panorama black, qualche chilometro più a nord di Copenaghen, da dove quattro nuovi cavalieri del buio si ergono e si immolano per combattere le forze della luce.