Recensione: Of Ghost And Gods
Dopo “Waiting For The End To Come”, album che ha mostrato i Kataklysm come il ‘solito’ rullo compressore dorato, in grado di unire perfettamente furia demolitrice e talento compositivo, due anni dopo giunge sulla scrivania degli appassionati “Of Ghost And Gods”. Dodicesimo full-length che consacra la lunga carriera (1991 – ?) degli italo-canadesi ai livelli più alti del metal internazionale; costellata da una produzione discografica costante nel tempo nonché cospicua come numero di uscite.
Dopo tanta rabbia sparsa in giro per i palchi di tutto il Mondo come le spore di una specie aliena nell’atmosfera terrestre, pare che Maurizio Iacono e i suoi compagni di avventura – sempre gli stessi da un bel po’ di anni, per inciso – abbiano leggermente depotenziato la carica energetica che sostiene la base del loro sound. Nulla di sconvolgente, di esagerato, di scriteriato. Semplicemente, nelle canzoni del platter è stata iniettata una dose di melodia la cui posologia non è mai stata numericamente alta come adesso. Dopo il prevedibile botto con l’opener “Breching The Asylum”, lo dimostra subito “The Black Sheep”, track dall’andamento lento, dal tono sofferto e malinconico, dal chorus dolce e sinuoso. Un esperimento, se così si può scrivere, riuscito al 100%.
Quasi a rinnegare quanto appena evidenziato, le ondate dei balst-beats di “Marching Through Graveyards” travolgono chi si fosse attardato sulle note del brano precedentemente citato. L’aggressività dei Kataklysm è ormai la caratteristica principale che li ha resi maggiormente noti al grande pubblico del metal estremo. Pur tuttavia, anche in un brano come quello in esame i riff si articolano come non mai; cercando soluzioni ritmiche diverse dal solito e, soprattutto, la melodia in occasione dei refrain.
Per calcare la mano sul concetto, “Thy Serpents Tongue”, dall’incipit violentissimo, annichilente, quasi subito si placa (per modo di dire…) per lasciar spazio a intermezzi maggiormente ragionati e armonici. Identico modus operandi per “Vindication”: apertura alla massima velocità, sì da provocare lo stato di trance da hyper-speed, rallentamento del ritmo e quindi sviluppo delle strofe, del ponte e del ritornello alla maniera del death metal melodico, anche se questi non ha nulla a che vedere con le produzioni nordeuropee. Giacché trattasi di puro e moderno death metal addolcito, mai troppo, da giri melodici di pregevole fattura.
Fattispecie, quest’ultima, per la quale “Carrying Crosses” sembra essere stata messa lì apposta: partenza massiccia come le Montagne Rocciose, bei ricami armonici e via, verso la devastazione totale operata dai blast-beats di Oli Beaudoin. La marcata dissonanza che avvolge come uno stretto sudario “Shattered”, poi, rammenta che, nonostante tutto, i Kataklysm non sono per niente un prodotto ‘da supermercato’. Ancor di più priva di melodia è “Hate Spirit”, dura da digerire anche ai palati più spessi, anche se il chorus sarà presumibilmente uno dei cavalli di battaglia in sede live. La chiusura del cerchio spetta a “The World Is A Dying Insect”, mossa perlomeno all’inizio da elementi di ambient/etnica che, chissà, potrebbero lasciar intravedere il futuro intendimento dell’ensemble di Montreal sulla direzione da intraprendere, artisticamente parlando.
Con che, “Of Ghost And Gods” si presta a essere interpretato come un lavoro di transizione fra la parte più brutale dell’anima dei Kataklysm e quella, maggiormente mistica e ragionata, sin’ora ancora nascosta nelle brillanti menti di Iacono e compagni.
Che sia l’alba di una nuova Era?
Daniele D’Adamo