Recensione: Of Kingdom and Crown
La prima domanda che ci si pone dopo aver ascoltato il nuovo disco dei Machine Head è: cosa sta cambiando in casa di Robb Flynn? Partiamo subito da una considerazione: i Machine Head sono sempre riconoscibilissimi. La personalità del rinnovato quartetto (o dello stesso Flynn se preferite) non si è alterata nel tempo e questo, già di per sè, è sinonimo di grande personalità e originalità. Però qualcosa sta cambiando.
Intanto per cominciare questo decimo capitolo discografico, “Of Kingdom and Crown”, è il primo album senza due leggende come Dave McClain e Phil Demmel, rispettivamente ex-batterista ed ex-chitarrista del combo thrash californiano… e non parliamo di due qualunque. Abbiamo fatto i nomi di gente che la storia della musica d’impatto ha contribuito a plasmarla nel corso dei decenni. Altro aspetto da considerare è che da anni oramai, approssimativamente dall’uscita del 2011, “Unto the Locust”, Robb Flynn e team al seguito, sono alle prese con un cambiamento di stile più orientato al metal melodico (pur sempre con una bella dose di potenza) invece che alla ferocia che aveva caratterizzato la produzione della band fino a “The Blackening”, devastante release e forse picco creativo del gruppo per quanto riguarda la loro ‘seconda era’ produttiva.
Terzo aspetto, portando ora sul tavolo delle considerazioni l’esperienza personale di seguace della scena da molti anni, coi Machine Head tutti ci sono andati abbastanza pesanti, a volte in maniera ingiustificata (tipiche accuse: ‘non sono né carne, né pesce’ oppure ‘sono troppo Nu Metal’…). Bisogna pur sempre ricordare che il gruppo ha avuto il prezioso ruolo, assieme a gente come Pantera, Nevermore, Fear Factory e Sepultura (per citarne solo alcuni), di fornire linfa vitale al thrash metal, reinterpretandolo e tenendolo in vita in un momento in cui si rischiava davvero di veder “Rust in Peace” (Megadeth, 1990) come testimone eterno del divino decennio produttivo precedente.
Ma allora cosa sta cambiando? In questo “Of Kingdom and Crown” mi viene da evidenziare uno smorzamento della ferocia e rabbia che, disco dopo disco sta scemando e qui è parecchio evidente! Il trend nella direzione di un groove metal molto melodico e catchy era sotto gli occhi di tutti da tempo, ma nel caso in esame è praticamente una certificazione irreversibile, senza appello. Robb Flynn è qui oggettivamente più a suo agio con un cantato in clean parecchio ‘poppeggiante‘ piuttosto che con i ruggiti carichi di odio a cui ci aveva abituati. La musica è un alternarsi tra potenza e groove e melodic metal assai patinato. E poi, dettaglio che mi ha lasciato parecchio interdetto, questo disco, boh, ma a me è sembrato assai debole sotto il profilo della forma canzone. Pur avendolo ascoltato più volte, anche perché si fa apprezzare per un easy-listening a tratti ‘radiofonico’, non mi ha lasciato nulla. Non c’è alcun brano che dici: ‘wow, quanto spaccano!’ o, perlomeno, non come me lo sarei aspettato da una band come i Machine Head.
Ora, sarà ormai un concetto stra-inflazionato, ma la famosa e saggia locuzione latina torna nuovamente a nostro favore: ‘De gustibus non est disputandum’! Se piace il nuovo corso in cui la band si è incanalata negli ultimi anni, allora potete star certi che “Of Kingdom and Crown” fa un bel salto in quella direzione. Lo apprezzerete! Per chi ha avuto otto orgasmi consecutivi all’ascolto di “The Blackening” mi sento di non procedere all’acquisto perché siamo ormai assai lontani dal quel tipo di impatto. In quest’ultimo caso: lasciate ogni speranza voi che amate i ‘vecchi’ Machine Head!